Nella storia dell’umanità, mai il mondo è stato così ricco e i popoli vicini.
Eppure i poveri non sono mai stati tanto numerosi e il divario con i ricchi così ampio.
La tecnologia ha liberato l’umanità dalla fatica fisica e ha trasformato il lavoro.
Oggi i poveri non sono neppure più “necessari” come merce lavoro. Sembra venir meno lo stesso interesse a includerli nella società. I poveri tuttavia sono una presenza sempre perturbante.
I numeri della povertà documentano le ingiustizie, le contraddizioni e le inadempienze dei sistemi economici. Si comprende quindi come sia costante lo sforzo di rendere i poveri invisibili.
La povertà interpella le coscienze. I poveri svolgono per questo un ruolo storico.
La scena delle povertà è sotto gli occhi di tutti, quotidianamente documentata dai media.
Nessuno oggi può dire: “Io non sapevo”. La povertà si abbina alla sofferenza esistenziale, che non è solo richiesta di aiuto economico, ma domanda di riconoscimento, nell’indifferenza della società
e nella condizione di cronicità. Le misure inefficaci nella conduzione della lotta alla povertà alzano spesso muri di indifferenza e di segregazione.
- La povertà nel dopo-Covid
La congiuntura pandemica fa e farà molto riflettere.
Il Covid19 mette in discussione la potenza della scienza e restituisce le persone alla loro fragilità mortale.
La consapevolezza di questa vulnerabilità, verità dell’umano, è la condizione essenziale per accogliere la pregnanza della condizione di “povertà” (nella totalità dei suoi significati).
Oggi si soffre per mancanza di utopie. Le azioni sociali con i poveri e dei poveri continuano a sostenere le stesse speranze testimoniate dagli antichi profeti biblici. Indicano la terra promessa, la liberazione degli schiavi, l’alba della giustizia possibile
I profeti hanno migliorato il mondo perché hanno spinto in avanti lo sguardo del possibile: il “non ancora”, mentre stabilivano i punti di non ritorno: i “mai più”. La giustizia di una società non si misura
però dalle buone intenzioni, ma dalle buone pratiche: da come i poveri diventano realmente costruttori di civiltà e di avvenire.
L’azione deve farsi anche cultura, pensiero, riflessione. Non basta essere buoni e generosi, occorre essere intelligenti: “Giudicate da voi stessi ciò che è giusto” insegnava Gesù (Lc 12,57).
Occorre tentare di entrare nella complessità dei fenomeni e delle idee. È necessario trovare l’efficacia di un’azione sociale che con dieci mila risorse si deve misurare con chi ne possiede venti mila (Lc 14,31).
Oggi si possiedono mezzi potentissimi per scrivere, ascoltare, vedere, ma spesso si sperimenta l’impressione di non riuscire a dire se non la superficie degli eventi e delle cose della vita. Nella crisi è necessario invece dire cose nuove per affrontare l’inedito. Le vecchie parole dell’economia vanno tutte ricomprese e ritradotte: competizione, merito, efficienza, leadership, innovazione. Servono valori diversi che inglobino le tensioni etiche e spirituali
delle scelte e delle pratiche.
Davanti a problemi nuovi, l’economia è prima di tutto un intreccio di relazioni, l’efficienza è cooperazione, l’efficacia è contribuzione. È molto avvertita la mancanza di luoghi operativi (imprese, coordinamenti, comunità) in cui produrre valori, virtù e cultura adatti ai tempi difficili.
Le società moderne hanno abbattuto tutti i vincoli fatti di rappresentazioni simboliche, di interdetti e di riti che garantivano legami di appartenenza. L’economia ha potuto più facilmente fare della politica il suo strumento servile: “L’economia si è a poco a poco emancipata dal sacro.
Un tempo contenuta dal religioso, poi dalla politica, oggi è diventata la nostra religione e la nostra politica” (J.P. Dupuy).
Per rendere più sicura e fare più bella la casa di tutti occorre ritrovare una base comune di valori e di intenti. La lotta alla povertà e la comprensione del suo significato possono diventarlo.
Fine dell’edonismo, dopo il Covid? Rivincita della solidarietà?
Dipende dalle scelte delle persone e dalla militanza di una minoranza convinta. È possibile però moltiplicare i luoghi in cui le persone imparano a incontrarsi e si aiutano a vivere in un modo giusto, facendo nascere qua e là punti di luce, segni di speranza.
- La giusta amministrazione
Si può scrivere una storia della povertà intimamente legata all’incontro con i poveri.
È una storia di lotta contro la miseria e di cura della vulnerabilità della condizione umana.
C’è anche una storia della ricchezza, quella buona e giusta, utile per sconfiggere la povertà, nemica dell’umano.
La virtù della povertà, infatti, si può iscrivere nel linguaggio economico. Le cose preziose e vitali, infatti, occorre saperle amministrare. Anche il denaro è materia sacra, quando è frutto del lavoro giusto e solidale.
La liturgia lo raccoglie come dono di chi ringrazia il Creatore e lo condivide, deponendolo ai piedi dell’altare. Anche il denaro può contribuire a moltiplicare opere di bene e a rendere visibile
il valore delle cose e del lavoro.
La lotta contro la povertà inizia con la giusta amministrazione dei beni e delle risorse nelle famiglie, nelle istituzioni, nelle organizzazioni civili e nelle comunità religiose.
Trasparenza amministrativa, lotta agli sprechi, contrasto alla corruzione, riscatto dell’insostituibile rilevanza della politica sono condizioni indispensabili per il riscatto della povertà ingiusta. La giusta amministrazione è discriminante sia nel governo dell’impresa sia nella partecipazione al mercato. Se diminuisce l’affidabilità, i soggetti migliori escono dall’impresa, i clienti abbandonano.
La giusta amministrazione imprime all’organizzazione uno stile che attiva imitatori.
Poche persone motivate alla giusta amministrazione possono operare cambiamenti culturali generativi e profetici.
Il lavoro deve essere ben fatto, curato, valorizzato. Un lavoro mal fatto e mal amministrato può solo produrre servi e padroni, mai un’impresa collaborativa.
Chi sceglie la correttezza
amministrativa spreca meno risorse private e collettive, usa meglio e più a lungo le cose.
L’economia è scienza grande perché riguarda tutto l’umano e non solo, come riduttivamente vorrebbe la società funzionale, un sottosistema rigidamente regolato dal codice del profitto.
Nella contrattualità economica, le persone si obbligano reciprocamente, non solo per l’interesse egoistico, ma anche per affetti, amicizie, passioni, credenze.
Come lucidamente denuncia S. Weil:
“
In mancanza di questo, gli unici stimoli sono la costrizione e il guadagno. La costrizione, che implica l’oppressione del popolo. Il guadagno, che implica la corruzione del popolo”.
- La virtù della povertà
La vita umana è un mistero di cui mai si viene a capo definitivamente.
Non dovrebbe sorprendere il fatto che l’avventura umana possa essere detta attraverso paradossi.
La predicazione di Gesù li raccontava così: per trovarsi occorre perdersi, per avere bisogna regalare ciò che si ha, per essere è necessario rinunciare
al potere, perché c’è gioia nel dare più che nell’avere.
Uno di questi paradossi sorprendenti si è concretizzato nella vicenda di Francesco d’Assisi e del movimento da lui sorto.
Dalla regola della povertà, scelta in modo estremo e radicale, è nata nel tardo medioevo una scienza dell’economia che si è sviluppata per secoli, diventando protagonista di civiltà e benessere. Si bandiva come vergognosa la ricchezza privata, la si cercava come bene comune. Non si temeva di vivere nell’essenziale, ma s’investiva sulla bellezza pubblica e nei beni comuni.
La beatitudine della povertà può diventare il cammino di vita di chi, nella scelta dell'essenziale, nella rinuncia di ciò che è ingiusto o vano, si avvia a una nuova esperienza dell'avere e dell'essere. Può aprirsi una svolta paradossale: la povertà si trasforma in ricchezza e gioiosa pienezza di tutto ciò che è umano e vitale.
La beatitudine della povertà si diffonde la riverenza verso le cose utili, preziose e rare.
Accogliendo la beatitudine della povertà è possibile
diventare coscienza critica della società tecnologica, della forza irresistibile del potere remunerativo che governa bisogni e desideri, della tristezza di un mondo ordinato nel dominio della società automatica.
C’è una lotta più difficile e decisiva di quella intrapresa per la giustizia e per la salvaguardia della natura?
Ma anche più affascinante?
Bisogna stupire il mondo con la virtù della povertà.
Non basta la lotta alla miseria. Non è sufficiente neppure la solidarietà fraterna.
Ci vuole uno shock: il paradosso la virtù della povertà, per uscire dall’ultimo imperante prodotto della società del consumo: la passione triste del narcisismo.