La pazienza e la lentezza


Si può essere cristiani solo con la vita e la vita cristiana ha un’unica legge: assomigliare a Cristo. Avere gli stessi sentimenti di Gesù. Il figlio della parabola risponde al comando del padre: “Non ne ho voglia; ma poi, si pente e ci va”. Il fratello risponde “sì” ma poi non va a lavorare. Quello che conta è ciò che si fa, il cambiamento che si opera. Non ha valore continuare a ripetere “Signore, Signore!” se le parole non si accompagnano con una vita coerente. La differenza la stabilisce solo l’agire concreto, come nell’amore non bastano le buone intenzioni e le promesse.
Gesù constata che i sacerdoti e agli anziani del popolo, che del Dio biblico conoscevano tutto, erano totalmente chiusi al suo messaggio. Lo contrastavano e lo contraddicevano con il loro comportamento. Pubblicani e prostitute, peccatori manifesti, invece, amavano la sua compagnia, si lasciavano interrogare e alcuni si decidevano per il Regno. Pubblicani e prostitute possono passare avanti ai “giusti” e ai “sani” nel regno di Dio, quando credono e operano.
Possiamo accedere alla vita credente e spirituale solo attraverso la dura dinamica dell’azione.
Paolo vede il modello del credente in Gesù che si fece obbediente fino alla morte e alla morte di croce. L’obbedienza consiste nel fare le cose giuste anche a costo della vita. Così le parole diventano “piene” e si contrappongono a quelle vuote delle buone intenzioni che rimangono sterili. Il sì diventa un sì, certo e affidabile, come amava tanto Gesù: “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” (Mt 5,37). Gesù, facendo eco al profeta Ezechiele, ricordava però che Dio che è misericordia, è molto paziente. Aspetta che noi ci decidiamo, come il padre della parabola. Chi ama è sempre paziente, come si vede nella pazienza ammirevole dei genitori, degli innamorati, degli amici. È la pazienza che occorre avere nella lentezza, che sembra a volte inconcludenza, della vita parrocchiale. Prenderci reciprocamente cura della nostre lentezza conduce progressivamente alla gioia, a quello stato di meraviglia e di vitalità che accompagna anche l’esistenza più difficile. S. Paolo definisce questo travaglio opera dello Spirito.
Che significa essere "cristiani praticanti"? Il vangelo è un invito ad accorgerci di quando la fede scade nel ritualismo religioso o nel formalismo della dottrina. Questo atteggiamento può contagiare molti membri delle nostre comunità. Si dà per certo di aver capito chi è Dio, di conoscerlo bene, di sapere dove si può trovare. Ci si fa forza delle proprie tradizioni, dell'appartenenza ad una specifica comunità. Si vantano origini cristiane. Le pratiche religiose, l'osservanza dei comandamenti e dei precetti, finiscono così per diventare una formalità che non tocca la vita e non si trasmette nel mondo come testimonianza. L'integrazione tra fede e vita non è facile: quotidianamente è necessario ritornare a riconoscere le proprie incoerenze, per far corrispondere le parole alle azioni. Chi si crede giusto si preclude la misericordia di Dio; chi impara a essere umile e sincero invece, si apre alla salvezza.

 




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