Vieni nella nostra notte!
Vieni, Signore Gesù, vieni nella nostra notte
questa altissima notte
la lunga invincibile notte,
e questo silenzio del mondo
dove neppure un fratello conosce il volto del fratello
tanto è fitta la tenebra;
ma solo questa voce, quest'unica voce si oda:
vieni, vieni, vieni, Signore! (David M. Turoldo)
Siamo giunti all'Avvento che apre l'anno liturgico, mentre si sta spegnendo quello civile:, una sorta di parabola della vita che è seminata nella morte stessa. «Vieni, Signore Gesù» è l'invocazione che attraversa il libro dell'attesa, l'Apocalisse, riedizione dell'antichissima giaculatoria aramaica del Marana tha', citata da s. Paolo.
Da un lato, c'è l'assenza della luce: è la notte, «nostra», altissima, lunga, invincibile, incomprensibile, ingovernabile. D'altro lato, c'è il silenzio che è assenza di parola, di dialogo. Senza luce e senza voce non si riesce a riconoscere il fratello che ti sta accanto; al massimo ci si scontra, ma non ci si incontra. Ecco, allora, l'invocazione che squarcia quel vuoto oscuro: «Vieni, vieni, vieni, Signore!». Abbiamo bisogno di una luce e di una parola trascendenti che riescano a mostrarci il volto dell'altro, a indicarci la via da percorrere. La venuta di Cristo ha lo scopo di alzare il velo di tenebra e di morte per illuminare il lavoro, il pensiero e l'amore dell'uomo.
L’esperienza umana è una continua offerta di segni dei tempi, un inesauribile dischiudersi di potenzialità. Questa passione di portare a compimento ciò che portiamo dentro solo in abbozzo, questo desiderio di nascere del tutto si chiama “speranza”. Si può anche indicare con la parola “pienezza”. Grazie a essa siamo creature dei nostri sogni, rinasciamo a ciò che non vediamo ancora, perseguiamo ciò che non possiamo verificare. Il mondo non è soltanto tea¬tro del male, luogo del valori incompleti e limitati, è piuttosto la grande, unica occasione per testimoniare quelli veri. La speranza è sostanza della nostra vita, il suo fondo ultimo. È la forza che ci fa sempre ricominciare. Vivere rinascendo, grazie e regola battesimale, è anche la regola della chiesa che affronta i cambiamenti degli anni e delle epoche.
Siamo all’inizio di una nuova epoca della ricerca religiosa di cui nessuno può prevedere le conseguenze. Si stanno già sperimentando, qua e là, nuove forme di vita religiosa più personali, impegnate, devote, cristocentriche.
La nostra epoca è lontana dall’essersi assestata in una confortevole incredulità.
Cerchiamo itinerari nuovi e inediti. Comprendere il nostro tempo in termini cristiani significa in parte discernere questi nuovi sentieri, aperti a noi da pionieri, i profeti del nostro tempo.
L’indifferenza e la paura dell’altro si curano moltiplicando le occasioni di pastorale ordinaria missionaria. Parrocchia in “uscita” è quella ispirata al metodo conciliare della lettura dei segni dei tempi, nei suoi tre verbi: assumere, purificare, elevare. Quella che lavora per costruire pazientemente modelli praticabili e profetici di vita cristiana, in base alle età e agli ambienti di vita delle persone, tutte. La parrocchia missionaria cerca di accogliere il maggior numero possibile di collaborazioni, per presentarsi al territorio come comunità vivace, attiva, simpatica.