Il profeta e l'acqua fresca


L’accoglienza, l’affetto, la premura reciproca, l’amicizia sono beni fondamentali della vita. Sono anche valori centrali del vangelo. Il messaggio liturgico di oggi riporta però una frase di Gesù che sembra avanzare una pretesa smisurata: “Chi ama il padre o la madre, il figlio o la figlia più di me non è degno di me”. Gli affetti più cari sono immediatamente riportati alla croce: “Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me”.
La motivazione è evidente: l’amore è un’uscita da se stessi, è volere il bene dell’altro: “Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà”. L’amore è dunque non solo un’esperienza affettiva ma anche, sempre, una scelta di alto valore etico e spirituale. Amare è poter dire all’altro: “Per me è un bene che tu esista, sono contento che tu ci sia”. “Voglio essere con te e desidero che tu sia con me, così come sei, non per quello che mi piace o mi serve. Ti amo senza condizioni”. Nell’amore tocchiamo così le profondità più originarie dell’umano. Compito della maturità della coppia è il quotidiano lavoro dell’amore.
Questa quotidiana fatica è contrastata dalla “nuova religione” dell’affetto. Oggi, infatti, l’amore è un bene così raro da diventare “oggetto di culto” (ma non di pratica). La “religione dell’amore”, è “amore dell’amore”: il piacere che si prova nell’affetto. Si cerca la gratificazione emozionale istantanea. Si alimenta l’immaginario, attenti a non pagarlo troppo caro. Oppure si cercano altre vie, ancor più immediate come negli incontri effimeri sul web.
L’amore come bene è chiamato della Bibbia “agape”. È un amore con caratteri originali: è opera della libertà ma non sceglie secondo criteri di preferenza (come l’eros), è affetto ma non cerca reciprocità (coma la philia). Resiste al modello dell’individuo calcolatore, eppure è tutto proteso sul concreto qui e adesso. L’agape non conosce misura e limite: ama anche l’eros e l’amicizia. Non li contrasta, anche se provoca in essi una trasformazione profonda dell’affetto, imprime un cambiamento di forma che dalla spontaneità conduce alla solidità. L’agape è l’impegno responsabile che si prende cura della relazione: chiama l’innamoramento a trasformarsi in amore, l’amicizia a diventare progetto. L’impiego smodato dell’aggettivo “delizioso” nel parlare comune, è forse un indizio della resistenza al fascino dell’agape. Si preferisce la delizia della sensazione immediata più facilmente trasformabile in formule di godimento e di consumo.
Il lavoro dell’amore (l’agape) era ciò che insegnava Gesù. La gente stava ore ad ascoltare il Maestro (anche senza magiare) e fissava nella memora, indelebili, le frasi sintetiche che riassumevano gli insegnamenti che più colpivano per la loro novità e verità. Il vangelo di questa domenica ne riporta alcune. Sono appena dei frammenti come echi di lunghi ascolti, incantati dalla capacità di Gesù di parlare alla gente. Tocca a noi da questi schegge di luce riandare alla loro nucleo incandescente. “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me...”. L’amore verso Gesù non è totalizzante né possessivo. All’opposto crea le condizioni della libertà. Le relazioni a due (genitori e figli, donna e uomo) sono sempre tentate di inglobare l’altro. Ci vuole un terzo polo per mantenere l’equilibrio. Questo terzo è la giustizia Dio, garante della nostra libertà. La mamma può rivolgersi al figlio ribelle e dirgli “Dai, fallo per tua mamma che ti vuole tanto bene”. Nasce così il ricatto affettivo, si sviluppa la possessività. Ci vuole un terzo: “Non farlo per me, fallo perché è giusto!”. “Chi non prende la sua croce... non è degno di me”. Qui croce non indica la pesantezza della vita ma l’umiliazione estrema, provata da Gesù in croce. Possiamo imparare dalle inevitabili umiliazioni della vita a diventare umili, che è la condizioni per estirpare la radice perversa di ogni peccato che è l’arroganza. “Chi accoglie voi accoglie me...”. Per accogliere bisogna avere un casa. Per rimanere umani bisogna possedere qualcosa. Solo così si può condividere. “Chi accoglie un profeta come profeta... Gesù si pone sulla scia dei profeti. Nella sinagoga di Nazareth lo dice espressamente: «Oggi, si è adempiuta questa Scrittura». Il profeta è persona totalmente immersa nella storia di un popolo, partecipe delle sue vicende, eppure capace di andare oltre. Non si piega alla rassegnazione. Anche nelle situazioni più drammatiche coltiva il sogno di Dio. Come? Al sogno di Dio si risponde Amen: “Che sia così! Quanto vorrei che fosse così”. È l’intensità del desiderio che trasforma la vita. I verbi della fede sono al congiuntivo: “Così sia, venga il tuo Regno...” come la stella polare che guida il navigatore. Gesù era un poeta. La gente lo ascoltava commossa, incantata. “Chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca...” Siamo tutti sommergi e stremati dai problemi della vita, nostri e del mondo. Ci sentiamo impotenti, schiacciati. Spesso quello che sentiamo di poter dare è solo un bicchiere d’acqua. La poesia operosa della fede in Gesù aggiunge l’aggettivo “fresca” che fa la differenza.

 




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