Essere Attenti


“Vegliate”, “State attenti”. Con questo invito si apre il tempo liturgico dell’attesa e della speranza. L’avvento inizia con il segno del lume acceso nella luce soffusa dell’aula liturgica. L’attenzione è un esercizio della mente, emozionata e sensibile a ciò che capita, a ciò che avviene e diviene. Non è un’intelligenza che si limita al sapere ma è la capacità di “leggere dentro”, di cogliere i “segni dei tempi”, diceva Gesù.
La capacità di riconoscere ciò che diviene e quindi di essere persone intelligenti (fermarsi a ciò che avviene non è vivere ma subire) si realizza mediante due facoltà mentali essenziali: la capacità di attenzione e l’attitudine alla cura. Si nasce a se stessi, infatti, solo quando qualcuno ci rivolge la sua attenzione e si prende cura di noi. La cura è l’orientamento alla persona, l’atteggiamento che le permetta di percepirsi come unica, di avere valore per se stessa. La cura comporta la presa in carico, affidabile e affettuosa, dell’Altro.
Stiamo vivendo giorni di oscurità, dove non sappiamo che cosa pensare e cosa dire davanti al dolore e alla vulnerabilità della nostra fragile esistenza, sempre minacciata dall’incertezza economica, dalla precarietà, dalla malattia. Ci sembra a volte di non intravedere un futuro. Sentiamo nostra l’intensa invocazione di Isaia: “Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema?”.
Abbiamo il suo stesso desiderio: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!”. Lo esprimiamo con il vostro canto: “L’anima mia ha sete del Dio vivente, quando vedrò il suo volto?”
Sentiamo il peso delle scelte sbagliate con le quali abbiano colluso anche noi: “Tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento”.
Alla fine vince però la confidenza: “Ma, Signore, tu sei nostro padre”.
Non siamo abbandonati. Non siamo soli.
Mentre aspettiamo “la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo” (l’ultimo avvento del Signore), ci affidiamo, ci consegniamo: “Noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma, tutti noi siamo opera delle tue mani”.
L’adorazione, il gesto della mano posta alla bocca, dice l’impossibilità umana di cavarcela da soli.
Il silenzio dell’Eucaristia, la possibilità di essere contemplata da ciascuno secondo la propria sensibilità. Nell’adorazione si incontra se stessi smettendo di pensare a sé e contemplando solo il Cristo.
L’adorazione è una preghiera di pura esposizione a Dio. È una consegna totale che crea le condizioni più radicali per fare spazio all’invisibile Presenza, lasciarci fare da Lui come l’artista modella l’argilla.
Nella contemplazione del pane eucaristico, si impara a incontrare coloro che non contano nulla nella società, coloro che, come Gesù, sono considerati scarti.
L’adorazione ci immerge nel mondo, come il lievito nella pasta. Ci porta poi a riconoscere la presenza nascosta di Cristo fra coloro che lo ignorano o si mostrano indifferenti. Anche il pane è talvolta considerato privo di valore, sprecato e buttato. Allo stesso modo Gesù è stato ignorato, non tenuto in considerazione, perseguitato, deriso, rifiutato, torturato e condannato a morte. Chi adora abbandona ogni azione, accettando una passività più essenziale di qualsiasi intenzione. Impara a tacere per ascoltare in silenzio. Sta lì, come sta il fiore davanti al sole, a cui tende le foglie per nutrirsi di luce. L’adorazione è la più evidente contestazione dell’ateismo che vorrebbe vedere, e la più decisa resistenza al paganesimo che vuole provare, per poter credere.

 




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