Quella Croce rivela la verità di Gesù


Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». E subito uno di loro corse a prendere una spugna e, imbevutala di aceto, la fissò su una canna e così gli dava da bere. Gli altri dicevano: «Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo!». E Gesù, emesso un alto grido, spirò. Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono.

Su tutte le letture liturgiche di questa domenica campeggia il grande racconto della Passione di Gesù secondo Matteo. Non possiamo certo qui commentarlo in tutte le sue parti, ci accontentiamo di alcune annotazioni sulla crocifissione.
«Se sei Figlio di Dio» (27,40.43.44) come nella tentazione (4,3.6) anche sulla Croce è in gioco la filiazione divina di Gesù. Una filiazione negata e svelata, e che proprio nella ragione per cui è negata mostra la sua novità. Tutti, anche coloro che lo negano, riconoscono che Gesù ha preteso una filiazione che si è espressa nella totale consegna alla volontà del Padre, non in concorrenza con essa. Gli stessi sacerdoti dicono, citando il Salmo 22: «Ha confidato in Dio» (27,43).
Il verbo greco adoperato da Matteo dice l’obbedienza fiduciosa, l’abbandono, l’atteggiamento di chi pone la propria vita nelle mani di un altro Il tempo perfetto dice, poi, la stabilità: Gesù ha sempre, in tutta la sua vita, posto la propria fiducia in Dio. Porre la propria vita nelle mani di un altro è la manifestazione più alta della dipendenza. Così Gesù ha espresso la sua coscienza di essere Figlio: non nella ricerca e nell’affermazione di una grandezza concentrata su se stesso, rivendicata in concorrenza col Padre, ma in una grandezza tutta sospesa all’ascolto del Padre, tutta rivolta al Padre. La filiazione di Gesù rinvia al Padre.
I sacerdoti dunque, senza volerlo, manifestano la profonda verità di Gesù. E mostrano intuizione legando insieme la sua fiducia nel Padre e la sua pretesa di essere Figlio (27,43). Sbagliano però il modo di guardare la Croce. Per loro è il momento in cui il Padre deve - se davvero è suo Padre! - rispondere alla fiducia del Figlio, venendo in suo soccorso. Invece è il momento in cui il Figlio mostra tutta la sua fiducia nel Padre. Il Padre risponderà, ma dopo.
Gesù muore sulla Croce assaporando sino in fondo l’abbandono. Ma appena morto la prospettiva si rovescia. La luce scaturisce solo dopo che le tenebre divennero più fitte (27,45). Due segni testimoniano che la morte di Gesù è salvezza. Il primo è il velo del tempio che si lacera (27,51), il secondo è il riconoscimento della filiazione divina di Gesù da parte dei soldati pagani (27,54).
Il giudizio dei passanti e dei sacerdoti era, dunque, falso. La lacerazione del velo del tempio è una risposta alla derisione dei passanti: il tempio è davvero finito e una prospettiva nuova si apre. E il riconoscimento dei soldati è una risposta alle derisioni dei sacerdoti.
Gesù è davvero il Figlio di Dio - proprio perché è rimasto sulla Croce anziché scendere - e mentre i giudei lo rifiutano, i pagani lo riconoscono. I pagani vedono ciò che i giudei non vedono.
(Letture: Isaia 50,4-7; Salmo 21; Filippesi 2,6-11; Matteo 26,14-27,66)

Bruno Maggioni

 




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