Trasfigurazione del Signore


Questa festa ha avuto origine in Oriente dove è detta letteralmente «Metamorfosi». Il mistero della trasfigurazione occupava un posto importante nella spiritualità e nella mistica dei monaci cristiani che vivevano nel deserto. Essi cercavano, infatti, di contemplare la gloria di Dio nel Signore trasfigurato, conducendo una vita di preghiera con l'invocazione continuamente ripetuta del nome di Gesù.
Nella seconda domenica di Quaresima, la lettura del vangelo della trasfigurazione ci ricorda che la passione di Gesù non deve essere celebrata dimenticando che il Signore crocefisso è entrato nella gloria. La festa del 6 agosto, che richiama quella della santa Croce (14 settembre), è una celebrazione specificamente pasquale.
Contemplando l'immagine gloriosa del Cristo trasfigurato, la liturgia ci invita a sperare e a guardare alto. In Cristo, vero Dio e vero uomo, si rivela la pienezza dell'umana vocazione: Dio si è fatto come noi perché noi diventiamo come Lui: la «Metamorfosi». Nel battesimo, infatti, siamo ricreati ad immagine di Cristo. Da allora, la vita interiore si rinnova in una continua crescita e la fedeltà alla missione di essere sale e lievito nella pasta del mondo prepara la nostra partecipazione alla gloria del Signore trasfigurato (2Cor 4,17). L’eucaristia ne è la promessa e la garanzia che continuamente ci vengono ridonate.
La liturgia della Trasfigurazione si raccoglie attorno ai verbi "vedere" e "ascoltare". Sono i verbi del nostro continuo cercare il Signore per immergerci nella comunione con lui: vedere con gli occhi della fede e ascoltare con il cuore per accedere al mistero e, nell’amore, conoscere l'inconoscibile, poiché "Dio nessuno l'ha mai visto", ma il Cristo ce lo ha rivelato. Per questo oggi la liturgia invita ciascuno a stare in disparte con Gesù, ad elevarsi, per un momento, dal peso della quotidianità per contemplarlo faccia a faccia e, nell’eucaristia, ritrovare il nostro volto che un giorno vedremo "faccia a faccia, così come Egli è". L'ascolto indica l’adesione totale, l’obbedienza, la sequela incondizionata come risposta a questo dono di speranza.
Nella festa della Trasfigurazione Cristo si rivela come bellezza: “Signore, è bello stare qui” (Mt 17,4). I tre fortunati discepoli vorrebbero fermare la bellezza di cui hanno fatto esperienza. La bellezza però non è possesso, è dono e come tale va donata, non trattenuta.
Annunciare la bellezza di Dio significa testimoniare le ragioni della nostra fede davanti al mondo, ritrovando le motivazioni profonde del servizio verso l’umanità, per la gloria di Dio. Chi fa esperienza della Bellezza, apparsa sul Tabor e riconosciuta nel mistero eucaristico, gusta la gioia di crescere nella «Metamorfosi» divina.
Di questa Grazie (bellezza), che viene dall'alto, il discepolo di Gesù si nutre per farsi annunciatore e condividerla con chi, in forme diverse, ne è alla ricerca.
C’è anche una bellezza inscritta nel mondo, nel creato, nell'esperienza umana. Corpo cosmico e corpo umano sono destinati alla bellezza. Per questo: “Tutta la creazione geme ed è in travaglio” (Rom 8,22). Compito dell'uomo è dunque riportare la creazione alla bellezza originaria e fare della propria vita un'opera d'arte, in una continua opera di discernimento. Lo Spirito che “dà la vita”, riempie l’universo e fa la chiesa, parla in tutto ciò che è vero, bello e giusto. È lo stesso Spirito che agisce nella Grazia eucaristica.

 




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