Porre “sopra” ciò che è finito “sotto”


“Mostraci il Padre e ci basta”. Filippo aveva capito l’essenziale. Per noi è così? Facciamo spesso nostra la preghiera di questo discepolo del Signore, nel momento più intimo dell’ultima cena? Gesù gli aveva insegnato: “Dove è il tuo tesoro, lì è il tuo cuore”. Filippo sa dove è il tesoro della vita. È la comunione nella vita divina, dove Cristo è nel Padre e il Padre è in Lui e sono le opere che ne danno testimonianza. Prove della fede, infatti, sono le opere che si compiono non le parole che si dicono.
Come ha potuto però Gesù dire che chi crede compirà opera ancora di più grandi delle sue? Guardando la storia della Chiesa non pare esattamente così.
Forse opera più grandi vuol dire opera più estese, un popolo più grande del piccolo gruppo di pochi discepoli di Gesù. Questo sì, è capitato in questi 2000 anni nonostante infedeltà e incredulità. Il gruppo dei discepoli sarà però sempre un piccolo gregge, un po’ di lievito, un po’ di sale destinato però tutto e sempre al mondo intero, all’immensa folla così anonima e a tratti disperata che lo abita.
Il fine di tutto è che il Padre sia glorificato nel Figlio. Sia santificato il tuo nome, prega quotidianamente ogni cristiano. È tutto questione di amore! Amare il Padre, amare i fratelli. “Gloria” in ebraico evoca ciò che ha peso, cioè ciò che conta. E su questo tutti sono d’accordo, ciò che conta è amare.
La soluzione scelta a Gerusalemme dai primi discepoli di Gesù è stata coraggiosa e quanto mai attuale. Sinteticamente gli Atti degli Apostoli riassume così il popolo credente: “Quelli che mettono sottosopra la città, nel nome di Cristo” («Questi Giudei mettono sottosopra la nostra città” At 16,20). “Sottosopra” non è il disordine sociale o la ribellione violenta è porre “sopra” ciò che è finito “sotto”: stabilire i fini sopra i mezzi, le persone sopra le cose. Gesù lo aveva insegnato con un linguaggio ancora più forte: “Rimettere gli scarti al centro” (Lc 14,21).
“Vado a prepararvi un posto” (Gv 14,2). Il potere dell’amore si esprime così: donare un posto, liberare dal destino; personificare, strappare all’anonimato. “Posto” è sinonimo di sicurezza (un posto di lavoro), di conforto (un posto al sole), di salvezza (“sono a posto”).
Nella secolarizzazione il posto non è più il cielo ma è qui e adesso. Si chiama “benessere”, una prospettiva di appagamento e di agiatezza fondato sulla disponibilità e sull'aumento dei consumi. Questi sono resi possibili e messi a disposizione di tutta la società dallo sviluppo della tecnologia. La secolarizzazione scambia il fine (“Mostraci il Padre e ci basta!”) con i mezzi, annulla ogni senso e direzione (“Non sappiamo dove vai”).

La soluzione scelta a Gerusalemme dai primi discepoli di Gesù è stata coraggiosa e quanto mai attuale. Sinteticamente gli Atti degli Apostoli riassumono così il popolo credente: “Quelli che mettono sottosopra la città, nel nome di Cristo”. “Sottosopra” non è il disordine sociale o la ribellione violenta è porre “sopra” ciò che è finito “sotto”: stabilire i fini sopra i mezzi, le persone sopra le cose. Gesù lo aveva insegnato con un linguaggio ancora più forte: “Rimettere gli scarti al centro” (Lc 14,21).

 




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