Il pane e la vita
“I Giudei mormoravano di lui perché aveva detto: "Io sono il pane disceso dal cielo". 42 E dicevano: "Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre...”
Conoscevano, sapevano di Gesù meglio di ogni altro... ma non credevano. Gesù non si mette a discutere con coloro che restano scandalizzati dalle sue parole. Ricorda loro le promesse proclamate dai profeti e ciò che la Scrittura dice della manna, il pane venuto dal cielo. In questo modo, non intende convincerli con argomentazioni irrefutabili, ma condurli ad interrogarsi lealmente, senza pregiudizi, sul significato del "segno" dei pani moltiplicati e sulla sua vera origine. Solo il Padre, infatti, può concedere di accettare senza riserve ciò che egli dice. Gesù fa appello alla loro fede quando proclama: "Io sono il pane disceso da cielo, il pane della vita, il pane vivo per la vita eterna".
Se non si conosce non si può credere, ma la conoscenza non porta direttamente al Mistero.
La presenza del Mistero non è definita dalla percezione emozionale né stabilita dalla ritualità religiosa, anche se non è leggibile senza di essi. Il ben-essere del corpo e la ritualità della celebrazione si realizzano solo nella contemplazione del Mistero che è la preghiera, quando essa è non abitudine esteriore e neppure pura pratica emozionale ma espressione sincera dell’adesione e della libera risposta.
L’adesione al Mistero (la fede) è la decisione che riconosce nella mediazione dell’interiorità emozionale e dei simboli liturgici l’appello della Trascendenza, ossia una manifestazione reale del Mistero nella storia personale. Solo quest’adesione esperienziale “conosce”, perché ama, aderisce, crede.
Sarebbe fuorviante ritenere che si apprenda Chi è il Mistero dai segni che lo indicano. Nessun segno potrebbe parlarne se già non ci fosse una Presenza del Mistero. "Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre". L’Invisibile Presenza non è l’esito della mediazione (dell’evento emozionale, della sovrabbondanza della vita, della ritualità religiosa) che mai potrebbero tanto: produrre un’esperienza di adesione al Mistero, la fede. Non si sperimenta la Trascendenza semplicemente dagli eventi che la indicano, ma è possibile “intravederla” perché l’evento che ne parla presuppone una Presenza interiore, senza la Quale nessuna trascendenza saprebbe interpellare la coscienza, alcun simbolo potrebbe sussistere come segno. Altrimenti la trascendenza del mistero sarebbe tutta già compresa nell’evento umano, si ridurrebbe a una semplice fantasia, un modo di dire, una metafora immanente. Che esista una differenza tra il Mistero e i segni che la indicano è la condizione originaria della possibilità della fede.
Dio non è un concetto con cui si pensa di poter afferrare il Mistero e il rito non è un modo per impossessarsene ma è piuttosto il luogo e il tempo in cui lasciarsi afferrare dall’Invisibile Presenza che, nella preghiera, si dona ma anche sempre si sottrae.