Chi è lo Spirito Santo?


Nello liturgia pronunciamo costantemente il suo nome, nel segno di croce ci rivolgiamo ogni volta anche a Lui, ogni celebrazione dei sacramento riconosce e invoca la sua presenza attiva. Ma chi è lo Spirito Santo? Noi non possiamo comprendere le parole che usiamo se la mente non le associa a una qualche immagine. Non ci è difficile immaginare il “Padre”, associando, in forma analogica e metaforica, all’Eterno e Onnipotente un vissuto a noi famigliare. Il Figlio di Dio lo riconosciamo in Gesù di Nazareth, uno come noi. Ma lo Spirito? Le immagini bibliche non sono così evidenti: forma come di colomba, lingua di fuoco, brezza leggera...
Gesù usa una figurazione che ci indirizza a una comprensione profonda: è un fiume di acqua viva che si riversa nella nostra arida terra, è il refrigerio di un acqua fresca quando siamo assetati, è pienezza e abbondanza di vita. È lo Spirito di Gesù, dono del Padre ai credenti e all’umanità tutta. La sua Presenza riempie l’universo, la sua compagnia è avvertita dai sensi ai quali offre come un lume. Così canta la liturgia.
Possiamo immaginarci dunque così lo Spirito: la sua invisibile presenza è ciò che appare (ai sensi) quando s’incontra un vissuto umano dove il Vangelo di Gesù si condensa e traspare nella sua essenzialità. Si arriva allo Spirito, attraverso Gesù, la sua vita e le sua parole. Possiamo quindi concentrarci su numerose scene di vita che fanno segno a Lui.
Gesù ha insegnato innanzitutto a perdonare. Questa è la sua novità più singolare. Per chi subisce un torno, per chi vive una vera offesa, il perdono appare subito impossibile. Chi però accetta di smettere i pensieri di astio e di vendetta e gradualmente si apre al riscatto del fratello che lo ha offesa, fa un’esperienza di sorprendente intensità: l’azione dello Spirito. Il perdono è talmente difficile che non può essere in tutto un’impresa nostra ma evento di grazia dello Spirito.
Gesù era sempre in mezzo ai malati. Li cercava e lo cercavano. Si fermava con i lebbrosi e toccava le loro piaghe. Ci sono forme di malattia che allontanano dallo sguardo, che fanno ribrezzo, che producono vergogna. Scegliere invece di restare, non smettere di fare compagnia, piegarsi sulle ferite, vincere le resistenze, diventare empatici e solidali... sono tutte azioni dettate dallo Spirito, manifestazioni della sua potenza!
Gesù aveva parole e sguardi di predilezione per i poveri. Povero è l’umano senza aggettivi. È dunque una via di felicità, una condizione che può farci accedere alla beatitudine. Quando vivi nella semplicità e non cerchi di arricchirti, quando impari a condividere e ti lasci guidare dal dono, sperimenti una felicità, accede a un godimento che mai potresti trovare altrove. Quella beatitudine è presenza (e immagine) dello Spirito.
Gesù ha annunciato e praticato una fraternità universale. Dio è Padre, i suoi figli sono quindi fratelli. Sono tutti inclusi. Chi esclude chiude ogni possibilità di accedere a Dio. La fraternità in Gesù è radicale: si estende fino ai nemici, chiede di accogliere lo straniero e ogni forma di miseria. Chi si chiude all’invito si autoesclude dal Vangelo. Le scene di accoglienza, le scelte di solidarietà, i gesti semplici o organizzati della fraternità (universale) sono altrettante immagini dello Spirito.
La sua presenza quindi è ovunque si pratica il vangelo. E i segni che Lui è in azione sono inequivocabili e immediati. Occorre fare come Maria e rispondere. “Eccomi”

 




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