Il corpo di Dio


In Gesù, Dio si è fatto carne. Il Cristo è il corpo di Dio. Lo sconvolgente annuncio del cristianesimo continua nella Chiesa. Nell’Eucaristia Gesù si fa corpo nei suoi fedeli. La meravigliosa sintesi di Paolo: “non sono più io che vivo ma Cristo vive in me” (Gal 2,20) non è una metafora. È la verità che si compie letteralmente nell’Eucaristia. Ci nutriamo di lui, il suo corpo diventa il nostro corpo!
Questo mistero della fede, indicibile a parole, è un invito all’adorazione.
Tutta la vita di Gesù converge nel pane eucaristico. Gesù si preoccupa del cibo. Quando osserva le folle spossate che lo seguono da una giornata intera, chiede ai discepoli di provvedere per il cibo. “Quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché niente si perda». (Gv 6,12-13). La pagine del vangelo sono piene di racconti di Gesù a tavola, con i discepoli, con i peccatori con i farisei che lo invitavano. Gesù nutre, Gesù dona la vita. Alle povertà umane il Maestro provvede dando se stesso da mangiare. I Giudei dunque discutevano tra di loro, dicendo: «Come può costui darci da mangiare la sua carne?» (Gv 6,52).
Dare se stesso all’altro, nutrire, preoccuparsi per il cibo, provvedere ai bisogni del corpo... non sono i tratti dell’accudimento materno? Non sono le prime espressioni della sensibilità femminile?
Gesù è indiscutibilmente un uomo, ma in sé incorpora anche le qualità femminili. In lui il maschile e il femminile si incontrano e si completano.
La novità esplosiva del vangelo, la forza irresistibile dell’Eucaristia si sono espresse fin dall’inizio della storia cristiana come superamento delle contrapposizioni, come unità delle differenza, come completamento dell’umano. Ancora l’apostolo Paolo lo dice sinteticamente: “Voi tutti che siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è qui né Giudeo né Greco; non c'è né schiavo né libero; non c'è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,27-28).
Il Vangelo richiede lo svolgersi dei secoli per essere compreso e compiuto. Dopo i primi tentennamenti, la comunità credente si sentì “chiesa cattolica” dove le distinzione di popolo e di razza si composero in unità. Gradualmente attraverso il nuovo costume di vita la schiavitù, diffusa nel mondo antico come una pratica solida e consolidata, si sciolse nella pari dignità di persone libere. Ci vollero invece secoli per capire a fondo il messaggio evangelico sui piccoli: “Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli (Mt 13,3). Solo nell’ultimo secolo la cultura e il costume hanno compreso che cosa intendeva dire Gesù.
La parità e il completamento delle diversità del maschile-femminile, invece, è ancora davanti a noi. Rimane tanta strada da fare, nel pensiero come nella pratica.
Trasformate dall’eucaristia, le comunità credenti possono costituirsi nel mondo come piccole avanguardie perché la sensibilità di Gesù, la sua pratica di vita e il suo insegnamento, trasformino ancora la storia
Ma siamo ancora capaci di pregare? Siamo in grado di capire il sacrificio eucaristico?
Il mito dell’autorealizzazione il principio di utilità, la regola del mio vantaggio, il criterio dell’interesse distruggono la possibilità della preghiera. Pregare quando ne abbiamo bisogno, invocare solo per domandare, sperare solo di avere, sono pratiche che facilmente la psicologia può descrivere come proiezione dei nostri bisogni. C’è religione solo quando c’è dedizione. Nella fede cristiana questa dedizione è estremamente esigente: riguarda non una “pratica” ma la vita.
Il valore religioso del sacrificio lo racconta metaforicamente il pane. I chicchi di grano sono frantumati, ridotti a farina. Impastata, essa è cotta nel forno. E diventa fragranza. Poi, il pane vien spezzato e condiviso. E diventa vita. Morte e risurrezione (vita) si rimandano reciprocamente, come avvenne al Calvario, luogo di morte e risurrezione. Noi possiamo vivere solo se diventiamo pane spezzato gli uni per gli altri! Solo se do la vita per chi vive con me, la mia esistenza ha senso. Le cose che nella vita valgono (l’amore, la pace, la serenità), non si possono acquistare. Si possono solo dare e ricevere in dono.
La regola della vita autentica non è l’interesse, è la gratuità. Questa verità noi l’abbiamo smarrita. Ci ritroviamo così a essere incapaci di preghiera e insensibili all’Eucaristia.
Oggi, nelle nostre case, spezzando il pane pensiamo alla sua storia: il seme che in autunno viene gettato, muore… e poi nasce il germoglio e la spiga… e poi il grano che viene raccolto, macinato, cotto e distribuito, spezzato, mangiato. È la metafora del sacrificio religioso, cioè del dono.
Noi ci nutriamo del sacrificio! Solo il sacrificio ci sostiene. Solo il dono, la gratuità e l’amore, danno alimento alla nostra vita. Senza questo pane spezzato possiamo avere molte cose, ma poco di ciò che rende umanamente felici.

 




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