Giornata mondiale dei poveri


E' rischiosa la meditazione sulla povertà. Potremmo dire parole irreali: c'è una povertà nemica dell'uomo quando è miseria e bisogno. O potremmo sfuggire alla chiara indicazione di Gesù che chiama beati i poveri e dice "guai!" ai ricchi. La fede é l'accoglienza di un senso globale all'esperienza del mondo e della persona rispetto ad esso: ci conduce alle radici dell'annuncio della povertà cristiana. (Mt. 5, 1-10)
La nostra epoca ha conosciuto la forza disumanizzante della ricchezza, l'avere che spegne l'essere, il benessere dove l'inutile diventa il tutto, la ricchezza come criterio di vita e mentalità che tutti accomuna ed affratella con il suo carico di violenza, di arroganza, spreco e disprezzo delle cose e delle persone.
La beatitudine della povertà ("madonna povertà!") è invece il cammino di vita di colui che, nella scelta dell'essenziale, nella rinuncia di ciò che è vano, si avvia ad una nuova esperienza dell'avere e dell'essere, un'esperienza che 'e paradosso: la povertà si trasforma in ricchezza e gioiosa pienezza di tutto ciò che è umano e vitale.
Accogliendo la beatitudine della povertà il cristiano può diventare oggi coscienza critica della società del fare, della forza irresistibile del potere remunerativo che governa bisogni e desideri, della "soffocante tristezza di un mondo ordinato sull'idea di funzione"(G. Marcel) dove si lavora disperatamente, per non cadere in preda alla disperazione. Le beatitudini non sono formule di comportamento ma sono l’interiorizzazione dei costumi di Dio, tensione a portare in noi il pensiero di Cristo ("Se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei ..."). Sono il cuore dell'Evangelo: se il Figlio dell'uomo si è incarnato nella figura del povero che ha fame e sete, se ha compendiato il senso conclusivo della storia del mondo e il suo giudizio finale nella misura dell'amore per il povero, allora "Beati i poveri" è l’annuncio più impegnativo del cristianesimo.

1. Le radici della povertà cristiana: il bisogno di avere

La persona e la cose (Gen. 2,19 20a).
L'uomo affida il nome alle cose. Nel mondo di Dio è l'uomo che chiama le cose. Nel mondo della ricchezza sono le cose che danno il nome all'uomo: la persona è riconosciuta per le cose che possiede.
Nel vangelo, invece, le cose sono “sacramento”, richiamo, indicazione, strumento, anticipo di altro.
L'atteggiamento del povero, l'espressione dell'uomo religioso è l'inchino davanti alle cose.
Anche le cose sono mistero: sono di più di quanto appare; non sono mero oggetto, non si riducono a "possesso". Al cuore del povero nulla è banale, tutto vale, tutto è grazia, tutte le cose sono piene di Dio. Le cose non hanno solo un costo, hanno un valore. (Per il ricco le cose sono denaro, sono "prezzo"). Il povero è un “silenzioso”: perchè il mistero delle cose vi possa risuonare.

Il cristiano impara ad essenzializzare la propria vita, a semplificare,
a ridurre le proprie esigenze, ad essere lieto dell'essenzialità.

Preziosità delle cose (I Re 19,5 8)
"Alzati e mangia!". Per "alzarsi" occorre "mangiare". La nostra energia deriva dalle cose. Noi non siamo nulla senza le cose. Noi siamo creature: avere è condizione per il soddisfacimento del nostro bisogno, è garanzia della nostra sopravvivenza e della nostra dignità.
Nessuno deve rimanere digiuno delle cose (anche di quelle "inutili": il vino a Cana di Galilea!). Ad ognuno deve essere dato "secondo il suo bisogno" ( Atti 2,42). Il pane è preoccupazione e domanda quotidiana della preghiera cristiana. La domanda dei discepoli "dove prenderemo tutto il pane... ?" è presa sul serio dall'agire di Gesù.

Il cristiano ha il dovere di amministrare con intelligenza le cose “preziose ed utili”.
Non abbiamo il diritto di sprecare le cose.
Anche il denaro è realtà sacra: c’è una facilità ed un' inavvertenza nello spendere che è delitto.

Amore per le cose (Lc. 12, 22 31)
Non quindi disprezzo ma amore appassionato per il valore e la bellezza di tutte le cose, coscienza piena della loro preziosità ed essenzialità. Se ce ne è richiesto il distacco non è per disistima o, peggio, per sufficienza, ma perchè delle cose ritroviamo il senso, recuperiamo il rispetto e la riverenza, come davanti ad una esperienza del sacro. E' quanto indicato nel significato autentico ed originale del "sacrificio": inteso come: "sacrum facere".

Lo stile di vita consumistico ed edonistico è inconciliabile con la professione di fede cristiana.

Cose da condividere (At. 20,32 38)
Chi ama condivide. Il gesto di spezzare il pane riassume e simbolizza la vita intera di Cristo e per noi l’attualizza: "Fate questo in memoria di me". Zaccheo ha capito, nell'incontro con Gesù, che proprietà ingiusta non è solo quella fraudolenta ma ogni proprietà che non diventa comunione. Imparare a spartire è anche imparare a morire: quel giorno non potremo trattenere nulla, le nostre mani dovranno lasciare ogni cosa.
Impara il segreto della vita chi si esercita in questa disposizione, chi si prepara a quell'incontro decisivo.

Il cristiano "soffre" i propri privilegi
(dell'intelligenza, della condizione sociale, delle opportunità avute...),
ringrazia e rende lode a Dio e si dispone a rendere in contraccambio.

 




TITOLO del Commento:


COMMENTO: