La fede difficile


I discepoli non riescono ancora a rendersi conto di questa realtà inaspettata, per la quale non ci sono parole: Gesù veramente morto, è risorto! E di evidenze fisiche ce n’è una sola: la tomba vuota.
Noi esseri umani riusciamo a renderci conto delle cose soltanto poco per volta.
Per capire abbiamo bisogno di tempo. Così dopo la Pasqua, ci sarà l’Ascensione e poi Pentecoste...
Ci sono, cioè, delle tappe per arrivare a credere. I discepoli passano un momento di disorientamento, hanno paura di prendere un abbaglio. Quell’uomo che dice di essere risorto, sarà proprio lui, il Signore Gesù?
Hanno paura che sia un fantasma.
D’altronde Gesù aveva sempre insegnato a non lasciarsi ingannare, a essere persone intelligenti, semplici come colombe e astuti come serpenti. È facile confondersi, scambiare la fantasticheria per realtà.
Diceva Gesù: «Si presenteranno a voi molti e diranno: “sono io!” ma voi non credeteci ».
Gesù assicura i discepoli: «Toccatemi, guardate, non sono un fantasma... avete qualcosa da mangiare?». Noi abbiamo bisogno di essere continuamente rassicurati nella nostra fede, soprattutto quanto viviamo in tempi confusi e disorientati, dove è facile prendere degli abbagli; dove tanti che si presentano sulla scena a dire: “fidatevi di me!” Soprattutto quando presentano soluzioni facili o quando sanno parlare e convincere.
Gesù non soltanto vuole rassicurare i discepoli che lui esiste, che lui è vivo “in carne ed ossa”, ma soprattutto insiste a dire che è avvenuto esattamente quanto aveva detto.
«Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me. Allora aprì loro la mente alle intelligenza delle Scritture e disse: “Così sta scritto: Il Cristo dovrà patire e resuscitare dai morti».
Ci vuole un testimone oltre ai due.
Per capire il Vangelo e non prendere abbagli ci vuole la testimonianza, la presenza di un Altro: lo Spirito. È lui che apre la mente alla comprensione. Se leggiamo il Vangelo e lo comprendiamo a nostro modo, non riusciremo né a capirlo, né ad accettarlo. Non riusciremmo a capire la drammaticità ma anche la verità di questa frase: «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire». Non è riuscito san Pietro, non possiamo riuscire noi! Noi siamo disposti a pensare, a desiderare, a sperare nei frutti della risurrezione, ma non siamo disposti a passare attraverso la strada stretta della Croce. A questa siamo ostinatamente contrari. Per esempio, tutti noi sogniamo e vogliamo un mondo migliore. Il Vangelo ci dice «Se tu vuoi un mondo onesto e giusto, incomincia tu: dove vivi, dove lavori, dove passi la tua esistenza. Tu sai distinguere il bene e il male, desideri per te il bene… prova tu a vincere il male che c’è attorno a te, facendo il primo passo». Tutti noi, ad esempio, desideriamo avere una bella famiglia, sappiamo che nella famiglia possiamo trovare le soddisfazioni, le consolazioni più significative della nostra vita… ma quando il Signore ci chiede di impegnarci concretamente a casa nostra, qualcosa dentro di noi si ribella, e lasciamo perdere. Non accettiamo questa parola: «Il Cristo dovrà patire per risuscitare dai morti».
Così, non accettiamo quando Gesù dice «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso». Tutto nella liturgia ci deve rassicurare che questa strada, la strada del Signore crocifisso, è affidabile. È importante che i simboli religiosi ci parlino: ci parli il Cero pasquale, che ci porta la luce che viene dal Calvario. Abbiamo bisogno di segni che ci ricordino il battesimo, che ci facciano capire che soltanto con un dono dall’alto, soltanto aprendoci all’intelligenza della Scrittura, noi possiamo essere salvi.
Abbiamo bisogno di mettere in evidenza l’importanza della Parola, una Parola che abbiamo portato processionalmente all’altare perché per un cristiano non c’è niente di più prezioso di quella Parola. Abbiamo bisogno soprattutto di stringerci attorno all’altare, dove Gesù diventa pane che si fa mangiare, vino che è il suo sangue; per indicarci che solo se diventiamo una cosa sola con Lui potremo accogliere una fede difficile.

 




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