L'essenziale


E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa; ma, calzàti solo i sandali, non indossassero due tuniche… E partiti, predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano.
Gesù passava “facendo del bene" (At 10,38): curava i malati, solidarizzava con chi era ai margini (handicap, oppressi, malati mentali), difendeva i deboli. Mt. 8,16-17, Mc 7,37 ...
Gesù viveva nella povertà, non accumulava beni. Con i discepoli aveva una cassa comune. Lc. 9,57. La povertà scelta diventava in lui ricchezza di umanità, gioiosa pienezza di ciò che rende umani.
Come annunciare oggi la beatitudine della povertà? Con quali linguaggi? Mediante quali proposte?
Il legame inscindibile tra Gesù e poveri diventa quello tra i cristiani e i poveri che sono i primi “vicari” di Cristo. La salvezza si realizza attraverso l’incontro con i poveri. Ritornare a Cristo è ripartire dall’amore per i poveri.
Nel racconto del giudizio di Dio (Mt 25,31-46), il Figlio dell'uomo guarda come amabile ciò che agli occhi degli uomini è senza nobiltà e valore. I poveri sono fratelli del Signore per la loro piccolezza, data dal fatto che lui si è fatto il più vulnerabile tra gli uomini.
La forza del vangelo prende evidenza nella vulnerabilità della chiesa e dei cristiani. Gli inviati di Gesù devono essere poveri nei loro mezzi, nel loro messaggio, nella loro difesa. Così la comunità diventa “chiesa dei poveri e per i poveri”.
Nelle primitive comunità cristiane nessuno era bisognoso. Questa condizione era ritenuta essenziale per indicare che la beatitudine non consiste nel possesso ma nell’amicizia con Gesù e nella solidarietà. La povertà della chiesa testimonia il suo abbandono totale a Cristo, più potente di tutti i mezzi umani.
La scelta evangelica per i poveri oggi è particolarmente importante. Nella società secolarizzata, le enunciazioni di fede possono essere intese solo se proposte d’amore, manifestazioni di misericordia, continuazione dell’opera di Cristo verso gli emarginati e i malati, risposte alle attese insoddisfatte di oggi.
La fede, che non è vissuta come servizio di umanizzazione, è considerata priva d’interesse e anche ipocrita.
Parlare di Dio, confessarlo, lodarlo cambia veramente le cose e i primi ad accorgersene sono i poveri. La fede non è un sistema di rappresentazioni e convinzioni religiose ma un’esperienza della potenza della grazia di Cristo nella vulnerabilità umana. La chiesa non può quindi abbandonare i poveri. Nella sua azione, invece, può dimostrare che l’incontro con Gesù diventa opera di libertà e movimento di umanizzazione. Nell’incontro con il povero, dove contano le persone e non i loro aggettivi, scaturisce la rivelazione del mistero dell’esistenza umana ed emergono le grandi domande della vita: “Chi Sono? Da Dove Vengo? Dove Vado?”. Noi diamo significati alle esperienze quando le trasformiamo in racconto. La narrazione oggi dominante è quella dell’economia di mercato e della sua pubblicità, dove sono le cose a produrre felicità e l’essere è stabilito dall’avere. La beatitudine dei poveri introduce un’altra narrazione, lascia immaginare modelli di vita diversi. Il primato del mercato ha le sue liturgie e i suoi templi secolari. La chiesa che sceglie i poveri, impasta di essi il suo culto e il suo riconoscimento.
Nelle società ricche contemporanee, la povertà tende a diventare “invisibile” o è considerata un problema di degradazione personale di una parte insignificante della società. I poveri invece ci sono: sono gli esclusi, gli scarti prodotti dalla società dell’efficienza, i vulnerabili per le condizioni di vita esterne o interiori. La risposta è la solidarietà, che crea i legami della convivenza. Dimenticarla significa la morte del prossimo. Le patologie sociali di oggi si riassumono, infatti, nella perdita dei legami: diminuisce la gioia di vivere, aumentano immoralità e violenza. Il futuro del pianeta dipenderà, quindi, soprattutto dalla qualità della vita della città, dalla concezione dello sviluppo sostenibile e solidale. La crescita quantitativa dell’economia non basta a liberare dalla vulnerabilità. Possono intervenire altre cause: crisi della famiglia, instabilità della salute, perdita del lavoro e della casa, povertà culturali, insicurezze sociali. Il fastidio per la dittatura del mercato, con il suo egoismo e la competitività sfrenata, è tuttavia sempre più avvertito. Si profila un nuovo tipo di umanesimo da instaurare: una “civiltà dell’empatia” (Rifkin), una “società generosa” (Vello). Si cercano convergenze per una società umanizzata. Sorgono gruppi che s’impegnano per il bene comune nel volontariato e nell’economia civile. Questi gruppi si propongono di ripartire dai più poveri. Comune è il loro intento di garantire condizioni di vita degna: nella salute, nell’alimentazione, nell’educazione, nel lavoro e nell’abitazione.
La presenza dei dimenticati e dei poveri, infatti, è sempre il sintomo di un deficit nell’ordine della giustizia e della grazia.
Chiesa dei poveri è quella che cammina con l’umanità e parla un linguaggio che i contemporanei possano comprendere.

 




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