Servire i poveri con intelligenza
Ricorre in questi giorni l'anniversario della beatificazione di A. Rosmini. Il suo genio intellettuale e la sua santità di vita sono stati finalmente riconosciuti. Gli stimoli che l’immensa sua produzione intellettuale ci offre sono tutti attuali e importanti. Ne voglio cogliere uno solo, apparentemente secondario: la sua proposta filosofica sul sentimento fondamentale.
La riflessione sulla natura del sentimento, che ha ricevuto un vigoroso e originale impulso nella scuola fenomenologica, può aiutare a valutare sia le riuscite sia i limiti del pensiero contemporaneo sulla corporeità. La questione è centrale nella riflessione antropologica. Il pensiero rosminiano, con la sua logica stringente e la sua capacità di collegare le parti in una totalità organica, è un riferimento importante per illuminare e riscattare i numerosi riduzionismi del pensiero contemporaneo e salvaguardare i frammenti di verità che essi conservano. Il pensiero rosminiano circa il sentimento fondamentale si trova all’incrocio d’importanti problemi della filosofia. L’invito husserliano di “ritornare alle cose”, a cogliere la realtà profonda della vita, in virtù della fedeltà alla completezza dell’esperienza trova nella sua teoresi non solo un incoraggiamento ma un metodo rigoroso di ricerca.
La gnoseologia, considerata con attenzione, rivela la sua struttura antropologica.
Il sentimento non sente soltanto il principio, ma lo sente in unione con il suo termine.
Oltre al sentimento corporeo c’è quindi un sentimento intellettivo, il quale è il sentire l’atto che intuisce l’essere universale. È il sentimento di un’apertura infinita, una “sensione universale dell’oggetto”. Senza la presenza dell’essere ideale, di natura non soggettiva, il sentimento si attuerebbe soltanto come sentimento del corpo proprio.
Il sentimento non è quindi un fatto fra altri, per Rosmini è la base della persona e della realtà stessa.
“Tutte queste riflessioni confermano l’esistenza di un sentimento fondamentale in noi: esistenza che si potrebbe anche scorgere con un po’ di seria attenzione sulla natura del NOI; perché il NOI, chi riflette sopra sé stesso, trova che è nel fondo un sentimento, che costituisce il soggetto senziente e intelligente”
La natura intima della psiche deve quindi essere intesa come sentimento fondamentale.
Il fatto della coscienza è indubitabile: c’è un corpo che è possibile chiamare proprio. Si deve considerare il corpo com’è dato dall’esperienza e dall’osservazione interna: come con-soggetto del proprio sentimento.
Il principio senziente (lo spirito) non sarebbe quello che è, senza il termine sentito (il corpo). È un altro esempio della legge del sintesismo rosminiano: due entità differenziate e opposte fra loro sono tuttavia condizionate l’una all’altra per modo che l’una non può stare né si può concepire senza l’altra. Nella “Psicologia” il sentimento fondamentale è chiamato «sostanza dell’anima». L’esperienza insegna che il sentire coinvolge anche un sentirsi. Alla base quindi di ogni sentimento passeggero, c’è sempre un sentimento stabile. Mediante un atto di riflessione poi, quando si afferma l’io, si conferma alla base della propria realtà un sentimento fondamentale. Per affermarsi intellettivamente bisogna, però, prima percepirsi sensitivamente. Il sentimento di se stesso, cieco senza la luce intellettiva, annuncia non soltanto il fatto della sua esistenza, ma anche la sua natura di sentimento. Il reale stesso è sentimento. Il sentimento fondamentale sente anche se stesso, anzi esso è un primo atto di sentire e perciò di sentirsi. Divenire oggetto a se stesso vuol dire concepirsi come esistente, e per far ciò non si può fare a meno dell’idea dell’esistenza.
Secondo Rosmini fin dal suo primo atto la mente è uscita da sé verso l’altro: in virtù dell’”essere ideale” può concepire e conoscere quello che è nel suo stesso essere. Se non avesse che la sensitività, e se questa fosse chiusa in se stessa non si avrebbe alcun testimone delle altre cose, giacché l’altro non potrebbe essere concepito neanche come possibile e rimarrebbe segnato da un’insuperabile ambiguità.
Un’applicazione di questo pensiero riguarda la valenza curativa dell’agricoltura. Nell’ambiente naturale che s’impara a riconoscere, nell’habitat che si diventa capaci ad aderire, si ricava l’immediata percezione di qualcosa che guida a decifrare un modo di sentire le cose del mondo, un’affettività diffusa, un dono ricevuto e trasmesso alle generazioni che verranno. Le cose comunicano con l’intelligenza personale attraverso un’esperienza sensibile che mai potrà essere ridotta a mera sensorialità. Lo testimonia il racconto di chi si è immerso nella vita della natura: “Oggi ho fatto un’esperienza, ho vissuto un contatto che mi ha comunicato qualcosa, che ha prodotto in me un piacere profondo, un senso di stupore, un incontro di grazia”. La sensibilità umana è l’organo recettore della vitalità della natura e che mette in grado di ricevere dalle cose un senso di meraviglia. Attraverso i sensi si riceve una traccia d’intelligenza, un input di senso. Questa intelligenza è molto raffinata: la sensibilità percepisce infallibilmente le infinite modulazioni del linguaggio della natura e che non si sarebbero potute inventare. Questa sensibilità trova dentro le cose un qualche contatto della propria interiorità, che permette di capire e decifrare l’ambiente, che insegna a stare con le persone, a cogliere desideri e intenzioni, a scoprire il piacere di abitare il mondo.
I normali stimoli sensomotori delle operazioni agricole incorporano intelligenza e sensibilità fino a diventare vere forme di pensiero, senza il quale alcune parti dello spirito non prenderebbero consapevolezza di sé. Le forme di vita, prodotte, alimentate e curate (nei vegetali e negli animali), annunciano una profondità che procura non solo emozioni e sentimenti ma dimensioni dell’esistenza che erano state dimenticate. La tecnica osserva le cose dal punto di vista della materialità (peculiarità fisiche e chimiche), la sensibilità riconosce nelle cose un valore aggiunto d’intelligenza e la capacità di esprimere estro e creatività, di compiere azioni, di aprire frammenti di storia di vita. I livelli di eccitazione, gli stimoli sensomotori, gli ambienti a tecnologia avanzata si sono molto sviluppati, ma l’intelligenza delle cose si è intiepidita, è quasi assente. Mancano i dispositivi della sensibilità e luoghi organizzati in questo modo. L’agricura è una quotidiana palestra di questa sensibilità e non riguarda solo l’attività agricola ma implica anche il valore e il significato del cibo. L’alimentazione non riguarda solo il corpo, è anche nutrimento dell’anima. Non si misura solo dalle sue proprietà organolettiche, dell’insieme di proteine, carboidrati, grassi e vitamine, ma delle relazioni che il cibo incorpora (chi lo ha procurato, preparato e offerto), e quella vibrazione delle anime, la quale senza il cibo non si produrrebbe. Anche la tavola ha una sua intelligenza, che guida al senso delle cose e conduce a contatto dell’anima. La differenza tra “mangiare” e “pranzare” sta qui: il cibo ha il sapore delle persone. Mangiare non dà felicità se si riduce a essere solo buon nutrimento.