Paura e speranza


"Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino, le donne si recarono alla tomba, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono la pietra rotolata via dal sepolcro; ma, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. "
Tutto parte dal coraggio di alcune donne, che al mattino presto partono per fare ciò che tutti facevano, secondo il costume del tempo, per onorare i loro defunti. Non avevano la più lontana idea di ciò che sarebbe loro successo. Le spingeva un grande amore, riconoscente e fedele, ma per loro Gesù è ormai solo un cadavere da imbalsamare.
Per strada le due discepole parlano di problemi concreti, di come rotolare via la pietra che chiudeva il sepolcro…
La vita appare a noi per lo più pesante come un masso… Siamo costantemente immersi nella difficoltà e nei problemi, che spesso ci appaiono enormi, insormontabili. Tutto è sempre difficile. Difficoltà a casa, difficoltà sul lavoro o per il lavoro, difficoltà nella scuola, difficoltà tra vicini di casa… Difficoltà con i figli, con i genitori, tra moglie e marito.. Problemi in parrocchia, problemi nei gruppi.
Dappertutto è difficile. Gran parte delle nostre conversazioni lo spendiamo a parlare dei nostri problemi. Alcuni di questi sono reali, altri sono immaginari, presupposti, molti sono creati da noi stessi… È il dominio della morte che estende il suo potere.
Gesù risorge nei nostri problemi, in una comunità che impara a farsi carico dei problemi delle persone, delle famiglie, della città

Mentre erano ancora incerte, ecco due uomini apparire vicino a loro in vesti sfolgoranti. Essendosi le donne impaurite e avendo chinato il volto a terra, essi dissero loro: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?

Trovare Gesù non è immediato, non è una sensazione, un’emozione. Ci vuole fede.
l Vangelo non contiene alcuna descrizione della pasqua, nessuna prova della risurrezione. Solo il sepolcro vuoto. Tutto è lasciato alla scelta dell’atto di fede.
La Pasqua: una novità assoluta, imprevedibile. È il nuovo che irrompe nella vita e nella storia, aldilà di ogni calcolo, di ogni immaginazione, di ogni speranza.
La visione di quei due uomini rappresenta l’inaspettato, l’inesprimibile.
La fede fa breccia nell’incredulità solo progressivamente. Per molto tempo si continua a cercare tra i morti colui che è vivo.
Di fronte ai cambiamenti, ai “problemi” della parrocchia, ai nuovi traguardi difficili e impegnativi cui essa è chiamata conta una cosa sola, ricordata più volte da Gesù: “Tu continua solo ad avere fede” (Mc. 5,36).
Un unico segno distintivo: non avere paura, affidarsi. Gesù risorto ci chiede di essere una parrocchia coraggiosa, che sa osare.

Ed esse si ricordarono delle sue parole.
Può capitare di dimenticare. È il nostro rischio. Alla comunità è chiesto di continuare un percorso, una storia, in quanto storia di fede. Il resto è secondario. Stiamo vivendo l’anno della fede e questo percorso deve avere nella parrocchia la priorità più evidente.
Introdurre alla grammatica essenziale della fede e insegnare a pregare
Il primato della preghiera nei gruppi
E, tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. Anche le altre che erano insieme lo raccontarono agli apostoli.
Qui ci aiutano le parole eloquenti di papa Francesco. Evangelizzare, la dolce e confortante gioia dell’evangelizzare, presuppone nella Chiesa il coraggio di uscire da se stessa. La Chiesa è chiamata a uscire da se stessa e ad andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e dell’assenza di fede, quelle del pensiero, quelle di ogni forma di miseria. Quando la Chiesa non esce da se stessa per evangelizzare diviene autoreferenziale e allora si ammala (si pensi alla donna curva su se stessa del Vangelo).

Quelle parole parvero loro come un vaneggiamento e non credettero ad esse.
Pietro tuttavia corse al sepolcro e chinatosi vide solo le bende.
Questa esigenza così chiara a Pasqua (noi siamo cristiani che la catena del passa parola iniziata con le donne di Gerusalemme non si è interrotta) rivela tutta la nostra fatica.
La Pasqua non è solo un fatto, è un dono. Non è sufficiente che il sepolcro sia vuoto. Il Signore deve risorgere anche in noi.
Per quanto sta a noi, non siamo in grado di sollevarci dalle nostre paure. Non possiamo osare nulla. Quello che potremo sarà solo a motivo del dono ricevuto, della manifestazione dello Spirito.
Non è sufficiente questa solenne veglia. È necessario il lungo tempo pasquale perché tutta la comunità maturi gli atteggiamenti spirituali e umani necessari per un anno pastorale ricco di proposte ma anche di scelte operative
“Però a volte penso che Gesù bussi da dentro, perché lo lasciamo uscire. La Chiesa autoreferenziale pretende di tenere Gesù Cristo dentro di sé e non lo lascia uscire.
San Paolo
Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione. Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui.
Il dono della Pasqua: diventare figli nel Figlio. Dio si è fatto uomo perché noi diventassimo Dio. Ricevendo la qualità filiale diventiamo figlio di Dio per fare di noi ciò che lui è. Non è solo venuto per riparare il peccato: voleva che l’umanità fosse ciò che è lui, in Dio.
Con morire e con risorgere.
Certo doveva rimetterci i peccato ma per renderci figli di Dio.

La Chiesa, quando è autoreferenziale, senza rendersene conto, crede di avere luce propria; smette di essere il mysterium lunae e dà luogo a quel male così grave che è la mondanità spirituale.
Il tempo quaresimale: richiedere il perdono, condividere la sofferenza di Gesù
Il tempo pasquale: scoprire l’essere figli nel Figlio.
La parrocchia nasce dai Sacramenti. Una buona parrocchia si vede da come celebra e da come i sacramenti cambiano la vita, iniziando dai nostri rapporti

 




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