Il linguaggio popolare delle parabole
La folla ha bisogno di un suo linguaggio. Non può seguire ragionamenti complessi, com’è richiesto ai discepoli. Non può neppure vivere di sole emozioni. Gesù la conduce a una libera comprensione. La predicazione avviene in parabole, racconti che tutti possono comprendere, perché riguardano le forme degli affetti della vita quotidiana (lavoro, casa, denaro, cura del debole e del vulnerabile, padri e figli). La rivelazione che salva il mondo avviene nella vita quotidiana della gente, fuori dai grandi eventi religiosi. L’annuncio è formulato in parabole, in modo che ognuno possa decidere, secondo la propria consapevolezza e sia garantita la libertà di aderire senza condizionamenti. Si esclude la propaganda e il proselitismo. L’annuncio evangelico contraddice le regole del marketing: “Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8,34).Gesù non si comporta da leader, si muove in forma del passaggio di villaggio in villaggio, crea piccoli punti d’incontro per formare una rete di popolo. Non cura eventi ma s’interessa della quotidianità. Vuole formare all’autentica religione, rifiuta il linguaggio settario. Abbandona ogni attaccamento inessenziale: “Non salutate nessuno lungo la strada” (Lc 10,4). Come spiegò ai suoi genitori a dodici anni, a Gesù interessa la destinazione di ogni cosa: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio?” (Lc 2,48).
Le parabole possono sempre essere tradotte in orientamenti di vita adatti a ogni situazione e condizione. Tutti possono sentirsi toccati, tutti possono rifletterci e adattarli alla propria esperienza.
Quelle di oggi possono, per esempio, essere parafrasate così:
- Tutto ciò che è diventato grande, all’inizio era una piccola cosa.
Tutto si sviluppa sempre dal piccolo (un piccolo gesto, una parola, uno sguardo...). L’inizio della saggezza è quindi la meraviglia per il semplice, l’attenzione al quotidiano, la fedeltà nelle piccole cose, il valore dell’unico. “Chi non è fedele nel poco, non lo è neppure nel molto”.
Grandi movimenti sociali, opere straordinarie di bene, imprese economiche sono nate da piccole intuizioni, dalla tenacia di una persona coraggiosa, dalla fedeltà di un piccolo gruppo...
- Tutte le cose belle sono difficili.
La bellezza è un’ascesa dell’umano. Comporta l’abbandono delle mediocrità, il distacco dal capriccio, la rinuncia al possesso. La disciplina interiore trasforma il bisogno in desiderio, l’attaccamento in dono, l’appagamento in meraviglia. Nulla è più bello (ma più difficile) di un grande amore, di una famiglia unita, di un’amicizia viva.
- Tutto ciò che è importante richiede cura.
L’importanza di una cosa, infatti, è data dalla cura che è stata profusa e dimostrata. Solo la cura resiste al consumo che opera il tempo. La cura è il segno infallibile dell’amore.
Le parabole sono sempre riferite alla vita quotidiana, la saggezza che esse sviluppano nasce dalla concretezza delle cose. Non alludono direttamente al religioso, non pronunciano il nome di Dio.
La saggezza della vita tuttavia si dice compiutamente solo nel divino. L’umano vi si rivela “fatto a immagine e somiglianza di Dio”.
Nella saggezza evocata sopra si legge l’azione misteriosa della Trinità.
E’ lo Spirito Santo, infatti, che opera il miracolo di trasformare il piccolo in grande. Appena lo si dimentica, s’insinua l’orgoglio. Lo Spirito spalanca le porte e crea il prodigio della Pentecoste.
È la croce di Cristo la storia e il percorso di ogni bellezza pura. La strada stretta e difficile insegnata da Gesù realizza la bella notizia del vangelo. La gloria del risorto coincide con il dono cruento della passione.
È nella provvidenza del Padre, come descritta da Gesù, che traspare la cura amorevole e continua del Creatore. Egli fa piovere sui giusti e sui malvagi, aspetta il figlio ingrato per abbracciarlo, conta perfino i capelli di ogni sua creatura umana, le tratta tutte da figli.
Nelle parabole (come nell’universo e nella cultura secolarizzata) Dio si nasconde. Eppure sono proprio esse il linguaggio più concreto e reale per indicare la sua onnipotenza.