La felicità della fede


“Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto ed egli vi rimase quaranta giorni, tentato da satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano”.
In una riga Marco trasmette un messaggio straordinariamente denso e ricco. Egli è l’inventore del genere letterario “vangelo”: non cronaca né dottrina ma testimonianza vissuta, la quale è tanto più vera quanto più essenziale.
Il giovane Gesù lascia la sua casa familiare e il suo lavoro. Con ogni probabilità termina anche i suoi “studi”. Se sapeva così bene la Bibbia e affrontava le dispute cavillose di scribi e farisei, doveva pur aver studiato in qualche scuola, essendo “in tutto simile a noi”.
Prima dell’avvio definitivo della sua missione si concede un tempo prolungato di distacco assoluto, nella vita austera e pericolosa del deserto. Questa solitudine è necessaria per entrare nell’intimità con il Padre e reggere la frequentazione assidua della gente che lo attende nelle strade e nelle piazze della Palestina.
Il silenzio assoluto del deserto rigenera l’anima ma è denso di tentazioni, quelle della giovinezza: scoraggiarsi, mollare, deviare. Il fascino degli idoli (potere, gloria, successo) si avverte lì più che altrove.
La compagnia con gli animali selvatici non è un particolare secondario. Quando si ritrovano le radici più autentiche di se stessi e ci si spoglia del superfluo, si entra in un’armonia imperturbabile con la natura. Anche le fiere diventano amiche e compagne. Il peccato d’Adamo ed Eva aveva rovinato il giardino, la meraviglia della creazione si era ridotta in un groviglio di spine e rovi. Aveva vinto il serpente maledetto. Il digiuno di Gesù riporta la pace e l’unione. Il selvatico diventa fraterno. Lo spettacolo della natura ritrovata trasforma il diserto inospitale in un paradiso, dove si può avvertire il brusio degli angeli che portano la consolazione divina (“gli angeli lo servivano”). In due occasioni i vangeli affiancano la compagnia angelica alla prova che Gesù affronta: all’inizio e alla fine del racconto della sua missione. Nell’orto degli ulivi, quando l’angoscia e il turbamento diventano sudore di sangue, la presenza divina diventa tangibile e prende figura di angelo. Il Padre non risparmia il dolore della prova ma non abbandona mai, neppure sensibilmente. Dio non interviene miracolisticamente a liberare dalla durezza della vita, ma non lascia mancare la sua consolazione.
Le fiere domate sono anche metafora. Gli umani, lo sappiamo bene, possono diventare ben più pericolosi delle belve e le loro lingue più velenose del morso dei serpenti. Il servizio degli angeli nella scena appena tratteggiata di Marco è una garanzia: il male è sempre vinto dal bene. Il peccatore non va maledetto ed eliminato, può essere trasformato. “Dove c’è odio che io porti l’amore, dove c’è l’offesa, il perdono ...”.

 




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