I tre amori


Sistematicamente la cronaca quotidiana ci riporta fatti e situazioni che ci trasmettono il disagio dei giovani. Coloro che sentono responsabilità educative non si danno pace. Che cosa si nasconde sotto quella strana patina, quella radiazione malinconica di fondo, che si legge in volto a molti adolescenti? Come interpretare lo strano distacco, la sensazione di anaffettività, l’impressione di vivere in un mondo a parte, che chi frequenta i giovani spesso avverte?
I commenti di numerosi osservatori europei vorrebbero scavare più in profondità. Leggono in tanti comportamenti giovanili una regressione culturale, lo svelamento del lato oscuro del progresso. Da una parte l’iperstimolazione dei sensi, dall’altra l’impoverimento della vita interiore. Questa società ipermateriale – suggeriscono - sta togliendo la sensibilità, il radicamento interiore, il nutrimento dell’anima.
La rinuncia educativa produce almeno due effetti: l’insicurezza e la fragilità dei figli. Il primo è il timore di non farcela (il dolore della separazione; l'ansia davanti alle interrogazioni e ai compiti…). Il secondo, invece, è corrisponde alla sensazione del “rompersi senza preavviso”, come il vetro. Fragili sono i ragazzi che non reggono e mollano, che si annoiano e rinunciano. La società complessa aumenta le richieste ma le persone appaiono sempre più fragili, a causa della precarietà dei legami. Insicurezza e fragilità sono i segni evidenti di una cultura che ha perso la solidità dell’amore. Nel nostro mondo l’amore sta diventando una parola inaffidabile, un alimento che non nutre più. Non si sa più bene che cosa voglia dire amare.
Occorre ritornare all’insegnamento di Gesù, ripartendo dal vangelo di oggi.
Sono tre le forme dell’amore secondo il Maestro: l’amore al prossimo, l’amore verso il nemico e l’amore familiare. Ognuna delle tre forme dice del suo messaggio qualcosa che non potrebbe essere detto altrimenti. Sono quindi tratti dell’amore essenziali e indisgiungibili.
Matteo colloca il comandamento del perdono ai nemici in un discorso in cui intende sottolineare la vera differenza fra il cristiano e il mondo. Secondo l’evangelista gli atteggiamenti da assumere nei confronti del nemico sono due: far del bene e amare, nonostante tutto. Non si condiziona il perdono al pentimento del nemico. Lo si ama a prescindere. Così inteso, l'amore al nemico è il lato estremo dell'amore del prossimo. L'amore al nemico, infatti, evidenzia le due note profonde di ogni autentico amore evangelico. Anzitutto la tensione all'universalità: nell'amore verso il nemico, il «vicino» comprende anche il «più lontano», il non amabile in assoluto. Poi la caratteristica della gratuità, che è l'anima di ogni vero amore.
Nemico non è sempre il persecutore, come sperimentavano i primi cristiani. È più normalmente chi ci critica e sparla di noi, ci odia e ci maltratta.
Le motivazioni che giustificano l'amore al nemico sono due: essere figli del Padre e distinguersi per la qualità dell’amore. Si tratta di comportarsi come Dio, «che fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni». Non si ama il lontano perché cambi e si avvicini a noi. Lo si ama perché estendere sino a lui l’amore sorprendente di Dio.

 




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