Giuda: nostro fratello


“Quando Giuda fu uscito dal cenacolo...” Parte ancora con il dramma dell’ultima cena, la celebrazione di questa domenica di Pasqua per darci un messaggio paradossale. Proprio quando Gesù tocca il fondo del dolore e dell’angoscia, si manifesta la gloria di Dio: “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui”. Sappiamo bene, in questo nostro tempo, che il tradimento (nell’amore come nell’amicizia, nelle relazioni come nella fede) è un dolore ancor più lancinante di quello fisico. Gesù ha provato entrambe le sofferenze, alla massima intensità. Ha sperimentato anche la tristezza e l’angoscia, nella sua agonia. Senza la rivelazione del Padre (“Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito”), mai però avremmo potuto riconoscere che, al fondo del dolore umano, si attinge la purezza della gloria.
L’emozione indicibile della pasqua si sperimenta in questo capovolgimento: quando tocchi l’estremo umano del fallimento, dell’umiliazione e dell’angoscia, sei alla massima vicinanza al divino! La pasqua è l’esperienza della salvezza dell’umano, mediante il suo capovolgimento. Non è un’idea ma un’emozionante esperienza, il più grande aiuto per vivere.
Ma perché Giuda ha tradito? Dai racconti evangelici emerge una graduale delusione di questo discepolo, che Gesù aveva scelto e fino all’ultimo ha chiamato: “Amico!”. Il Maestro sapeva da tempo le intenzioni di questo discepolo, ma non fece nulla per allontanarlo. Attese fino alla fine il suo possibile ravvedimento. Perché Giuda era deluso? Perché si aspettava qualcosa d’altro: forse il riscatto politico e sociale della sua terra, un vantaggio, un ricavo concreto in risposta alla sua decisione di lasciare tutto per Gesù. Le parole che Gesù ripeteva: “Il mio regno non è di questo mondo...”, “Rinnega te stesso, prendi la tua croce e seguimi...” gli parevano inaccettabili. Preferì prendere congedo dal gruppo e recuperare un gruzzolo di denaro. Che non poté godere, perché finì male. Giuda: nostro fratello. Il nostro tempo si può così bene identificare in lui: ha barattato Cristo con il benessere, ma è finito male.
L’amore che Gesù provava per Giuda, rende straziante il suo dolore e quindi essenziali, incisive, intime, preziosissime la sue parole: “Figlioli, vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato”. Quell’amore che Gesù prova: “come io vi ho amato, così amatevi anche voi” è l’alternativa alla scelta di Giuda. C’è un unico modo di realizzare se stessi e di costruire un mondo nuovo: smettere di pensare a sé, darsi agli altri, senza risparmio. Qui “nuovo” significa “alternativo” alla scelta di Giuda, ma anche “ultimo”, definitivo. Gesù non ha altre parole da lasciare. Questo è il suo testamento: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri".
La storia racconta che l’evangelista Giovanni, ormai molto anziano non poteva più camminare ma ogni giorno si faceva portare nella sua comunità e ripeteva ogni volta una sola frase, sempre la medesima: “Figlioli, vogliatevi bene”. Poi si ritirava di nuovo nella sua abitazione.
“Volersi bene”: nessuna sdolcinatura, ma un verbo che ci inchioda. Nulla di più difficile: un lavoro quotidiano, mai finito; la più complicata impresa umana. Eppure tutto nasce di lì, anche gli ideali in cui, in un primo tempo, Giuda aveva creduto. La Parola ci offre oggi due immagini per resistere e continuare, in un’opera tanto difficile. Il racconto degli Atti raccomanda di “restare saldi nella fede” condividendo le proprie tribolazioni e raccontando gli uni agli altri “tutto quello che Dio compie”, sperimentando la fede come ciò che ci fa restare umani.
L’Apocalisse ci offre la metafora dell’amore appassionato e fedele (“come una sposa pronta e adorna per il suo sposo.”) come la poesia con cui ogni giorno immaginare la nuova Gerusalemme, dove Dio dimora con noi o noi ci sentiamo suo popolo. Appassionarci del Cielo, non smettere di pensarlo, conservarne sempre il fascino, viverlo nella liturgia. Lì “non più non c’è morte, né lutto, né lacrime”. Coltivando questa visione nel cuore e nella mente possiamo realmente “fare nuove tutte le cose”. Questo è la pasqua.

 




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