Senza nemici
Sono due i valori essenziali del dono: la gratuità e la prossimità. Queste due esperienze non possono essere realizzate allo stato puro. C’è una decisione di farsi prossimi ed esiste una “gratuità di reciprocità”, che ogni persona può realisticamente proporsi. Sono anche attitudini umane che possono essere formate ed educate. Ci sono però altre dimensioni della gratuità e della prossimità che sfidano le normali capacità umane. La gratuità pura trova un’illustrazione nel comando evangelico dell’amore verso i nemici. Il sentimento umano trova amore e inimicizia contrastanti come un ossimoro: un impossibile umano. Allo stesso modo, la grazia come massima dilatazione della prossimità, solo in parte è alla portata umana. Nell’amore, infatti, la prossimità potrebbe spingersi fino all’estremo: dare la vita. La strada però è sbarrata dalla morte. I figli, per esempio, ricevono la vita in dono ma non potranno esprimere la loro riconoscenza dando a loro volta la vita ai genitori, che invece moriranno.
Questa “impossibilità del dono” è accessibile solo al divino. Il dono è quindi anche un’esperienza di trascendenza, che può anche essere vissuta come apertura al divino.
Dalla donazione, interpretata nella prospettiva della Grazia, può svilupparsi una nuova umanizzazione tesa a una giustizia e una solidarietà rigorosamente universali, che si concretizzano nella scelta dei vulnerabili e nella cancellazione dell’idea stessa di nemico.
Il modello è Gesù.
La sua esistenza è stata totalmente segnata dal dono di sé, dal servizio ai fratelli, sempre tesa alla comunione verso l’estraneo e addirittura verso il nemico. Con la sua vita Gesù ha proclamato che gloria di Dio è l’uomo vivente, con i suoi miracoli egli ha testimoniato che il Padre osserva la miseria del suo popolo, sente il suo grido e conosce le sue sofferenze (Es. 3, 7). I gesti di guarigione, la sua vicinanza fisica a ogni forma di emarginazione, il segno del lavare i piedi ai discepoli, raccontano l’intensità di un amore portato liberamente fino alle estreme conseguenze: il dono totale sulla croce. La risurrezione è la prova dell’amore più forte della morte, espresso bene dal giudizio che la gente dava dal Maestro: «Ha fatto bene ogni cosa, fa udire i sordi, fa parlare i muti» (Mc 7,37).
Egli è colui che, venuto tra i suoi, non è stato voluto. Il venerdì di passione la folla urlava “crocifiggilo”, “Non vogliamo costui, dacci Barabba”. Il suo dono è destinato a tutti; non si limita neppure a chi lo sceglie perché ama anche i nemici. In Lui la sua parola si è realizzata all’estremo: “ha aperto la strada verso la vita eterna perché ha “odiato” la sua vita in questo mondo (Gv. 12, 25).
L’accoglienza e l’ospitalità sono dimensioni essenziali della gratuità e della prossimità. L’ospite (“hospes”) tuttavia, può presentarsi e rivelarsi anche come nemico (“hostis”).
La società contemporanea oltre allo straniero che si presenta alle frontiere conosce poi anche la figura dello “straniero interno”, quello che non si può né espellere né assimilare.
La paura e il sospetto sono diventati oggi vissuti di massa.
Si esce dalla diffidenza solo con una scelta coraggiosa, quella che consiste nell’eliminare il concetto stesso di nemico, come massima espressione dell’amore.