Afferrati e portati in alto
Stare in coppia, vivere in famiglia non è un’esperienza sempre gratificante. Lo sanno gli sposi, lo riconoscono i figli e i genitori. Non è neppure quel sogno da favola che la retorica sociale (e religiosa) spesso ingannevolmente dipinge. Nelle famiglie si nascondono spesso drammi e tragedie, si consumano violenze e gravi immaturità, si sperimentano limiti anche pesanti. Le realizzazioni concrete e quotidiane sono per lo più problematiche e inevitabilmente spesso deludono, svelando apertamente quanto nella vita quotidiana rimane parziale e incompleto. Spesso le attese vengono frustrate, i sogni sembrano svanire. Noi non sappiamo amare. Nelle nostre azioni e nei nostri atteggiamenti non c’è nulla di perfetto.
La condizione per giungere alla pienezza della vita cristiana non è quella di nascondere il peccato o di sminuirne il dramma ma, al contrario, di definirsi realmente e pubblicamente peccatori e peccatrici, come condizione indispensabile per lasciarsi trasformare dall’amore.
“Convertiti e credi al Vangelo” sintetizza il brano della liturgia di oggi (Mc 1,15). La decisione responsabile per la vita buona prepara l’accoglienza della Grazia.
Nell’introduzione generale del rito dell’Iniziazione Cristiana (Rica n. 19) si dice che la maturazione cristiana comporta il cambiamento della mentalità e del costume, attraverso un itinerario spirituale in cui si passa dall’uomo vecchio all’uomo nuovo, che in Cristo trova la sua perfezione. Che cosa significa? Che il rinnovamento della nostra vita è il risultato del nostro sforzo, del nostro impegno?
La pesantezza dell’esistenza ferita, la fragilità della vita, non si risolve solo nell'impegno morale. Ha ragiona s. Agostino quando raccomanda: “Giù le mani da te stesso!”. Il volontarismo produce solo guai. Gesù, infatti, pone a modello del credente il bambino ("Se non diventerete come bambini non entrerete nel Regno" Mt. 18,3). I bambini non sono campioni di volontà. Sono piuttosto immagine dell’immaturità capricciosa che non sa decidersi e che continuamente si contraddice (“Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato” Lc. 7,32). La formidabile grazia dell’infanzia è la sua indomita curiosità spinge al nuovo. Il bambino sa che deve crescere e lo desidera; vuole essere quello che ancora non è.
L’immagine del Vangelo e l’esempio della chiamata dei primi discepoli sono eloquenti.
La novità strepitosa dell’incontro con Gesù assomiglia a una folata di vento: ti prende e ti solleva, se lo lasci fare. Basta aprire le ali, come il passero che non sa ancora volare, è il vento ti porta in alto. Il più è fatto. I discepoli si sentono presi e conquistati. Non si decidono dopo lunghi ragionamenti e domande su cosa capiterà. Gesù non presenta loro alcun programma. Chi è sempre lì, indeciso e perso nei calcoli delle perdite e dei guadagni, non è adatto al Vangelo (Lc 9,6-2).