Lasciare e seguire


Era logico aspettarsi che l’annuncio evangelico partisse dal cuore del Giudaismo, da Gerusalemme, capitale del cultura e della tradizione religiosa ebraica. Gesù invece parte dalla Galilea, regione di periferia, terra spuria, disprezzata perché ritenuta pagana e contaminata. Matteo trova geniale la scelta del Maestro e vi legge, con sorpresa, il compimento di un’antica profezia che annunciava un messianismo universale alternativo a ogni forma di particolarismo.
La Galilea rappresenta i giorni nostri, la scelta messianica di Gesù ci indica il modo giusto di abitarli.
La “Galilea” della nostra contemporaneità è metafora di una terra cosmopolita, in continuo divenire, dove insieme alla sicurezza economica si sono perse tante altre certezze. Tutto oggi appare fluido e insicuro. Anche l’amore. Eppure il nostro tempo non è una maledizione. Si annuncia un futuro (di cui s’intravedono i segni) che poggia su due cardini robusti: la circolarità delle reti e la nuova economia contributiva. Il loro incontro consolida la portata sociale e culturale del cambiamento in atto. Sta avvenendo, infatti, una rivoluzione senza ideologia, un capovolgimento dell’economia e della cultura che nessuno aveva previsto. Succedono anche due fenomeni storici di portata epocale: la crisi economica che, insieme alla migrazione, ricompone le comunità civile e l’accelerazione inaudita dell’accesso alla conoscenza (il web). Le coordinate dello spazio e del tempo, profondamente mutate, stanno producendo nuove dinamiche sociali e trasformano la base culturale del nostro essere al mondo. Non c’è più un percorso che insegue una meta precisa ma un flusso di momenti ed eventi scanditi in una contemporaneità in costante trasformazione.
Dalla società lineare, rigidamente gerarchica, si passa a quella circolare della continua ricomposizione multiculturale della società. Nella società circolare il mezzo è il messaggio, l’utente il contenuto. Al centro non c’è più la garanzia del ruolo (chi esercita qualche responsabilità, come l’insegnante o il politico, lo sa bene) ma l’individuo e il suo desiderio di espressione personale. Non si trattano bisogni ma desideri, non si valorizza la razionalità ma l’emozione, non si costruiscono progetti, si vuole il qui e adesso, non si persegue la fedeltà ma il nomadismo. Allo status symbol subentra lo style symbol. È premiato chi è di casa ovunque e da nessuna parte.
Declina il concetto di massa, con la sua forza omologante, si animano le comunità culturali, spazi di espressione condivisa. Le reti non hanno gerarchie: sono processi flessibili di durata variabile, spazi numerici in cui le comunità si connettono su temi e contenuti incentrati sul dialogo e sulla progettualità e attività degli aderenti.
La rete diffida delle strutture di potere e di controllo. Si cercano beni e servizi partecipativi. Web e social diventano la fonte primaria d’informazione. Parlare e scrivere diventano importanti come vedere e ascoltare. È la parola che ci lega agli altri, che produce il gusto di stare insieme. Lo stile immediato della scrittura rappresenta chi siamo nel momento. Si moltiplicano le forme di partecipazione su temi di vasta portata che le persone scelgono di condividere per un certo periodo. Il web diventa una vera protesi del corpo umano. Con internet si può partecipare agli eventi senza dover frequentare i luoghi dove essi si svolgono.
Non è il web, tuttavia, a cambiare la società. Essa è già in cambiamento e trova in internet il braccio operativo.
Oggi tutti possono mettersi in rete; il mondo diventa un’immensa agorà senza confini. Ognuno può comunicare il proprio pensiero e farsi arricchire dal pensiero dell’altro. Più che mai la libertà passa attraverso la parola, ai suoi contenuti e non solo alle sue vibrazioni emozionali. Sulla rete si affacciano anche i “sofisti”, come avvenne nell’agorà ateniese, ma nulla ci costringe ad ascoltarli. l web diventa social, dove gratuitamente si mettono a disposizioni di tutti, senza alcun controllo o remunerazione, informazioni, risorse d’intrattenimento, percorsi di formazione, dispositivi di cittadinanza attiva, strumenti di politica diretta. S’impara a condividere (share) anche case, automobili, vestiti e ogni possibile bene. Conta vivere non possedere. Non è mai stato così evidente che il piacere della vita sono gli incontri e le persone, nel loro valore unico. Mai così diffusa è stata la gratuità, come nuovo codice di “scambio”. Si entra in una nuova era. La nuova economia chiede quindi monete alternative: le merci diventano storie, i clienti partner, le critiche contributi alla qualità. Associarsi, a diversità dal passato, significa solo incontrarsi ma comprendere quale sia la velocità necessaria a un movimento di idee, interesse o scopo per precorrere (per non dover inseguire) le trasformazioni di un’epoca in movimento, in cui è possibile sentirsi protagonisti. Le reti sono comunità dove cadono le barriere e si realizzare la volontà di ognuno di apprendere da tutti e di aiutare lo sviluppo della comunità. I nuovi comandamenti, espressione del veloce evolversi della società civile, sono “condividere” e “aderire”. Frana la promessa di ricchezza e progresso ma resiste lo spettacolo della comunità in cui si vive. Una partecipazione vicina e aperta prende il posto di un’adesione magari fedele ma lontana. Le reti possono diventare comunità d’identità territoriale, che si aggregano di volta in volta a tutela di un patrimonio socioculturale o di consumi di qualità per la salute, di un’economia sostenibile o del commercio equo e solidale o d’infinite altre forme di cittadinanza attiva. Ci si appassiona per ciò che è percepito come oggetto d’interesse comune, in reti composte di poche o molte persone, di lingua, culture, religioni identiche o diverse, in comunità tanto locali e territoriali quanto globali e sovranazionali. Nella società circolare, infatti, “locale” e “globale”, “personale” e “collettivo” s’intersecano in modo complesso. Pensare globalmente e agire localmente è un buon programma che si può realizzare quando o le reti e i gruppi operano e partecipano, sapendo che sono locali ma possono diventare globali, spostarsi di qualche isolato o di qualche nazione per creare legami nuovi, rinsaldare i vecchi, eliminare quelli divenuti inefficaci.
In questo inverno del mondo è possibile quindi intravedere qualche spiraglio di speranza, come ai suoi contemporanei annunciava Isaia? Qualcosa certo si sta muovendo. La società circolare è ricca di novità incoraggianti. La nuova economia, che in questa fase di passaggio affianca il mercato capitalistico, è chiamata con nomi diversi: “common collaborativo” (J. Rifkin), ”economia contributiva” (B. Stiegler), terza rivoluzione industriale, economia circolare… Il capitale sociale sta diventando risorsa economica pari a quello finanziario.
Il racconto del Vangelo della liturgia odierna (Mt 4,12-23) indica anche un metodo per proseguire sulla strada di una nuova primavera: “Lasciare” e “Seguire”. C’è un individualismo che va lasciato, c’è un’economia da ribaltare. C’è una rivincita del dono sul possesso e sull’invidia, promettente e affidabile, che va seguito.
Certo, il Vangelo dice molto di più: annuncia che questo percorso non è lasciato al caso perché “il regno dei cieli è vicino”.
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