Domenica della Parola
Oggi tutta la Chiesa celebra la Domenica della Parola di Dio, istituita da Papa Francesco con lo scopo di “ravvivare la responsabilità che i credenti hanno nella conoscenza della Sacra Scrittura e nel mantenerla viva attraverso un’opera di permanente trasmissione e comprensione, capace di dare senso alla vita della Chiesa nelle diverse condizioni in cui si viene a trovare".
La Parola di Dio non è molto conosciuta nelle comunità. Si dedica alla sua conoscenza scarsissimo tempo. Gli incontri di catechesi per adulti, centrati sulla Parola e sulla sua applicazione alla vita, radunano pochissime persone. Non se ne capisce l'importanza.
Eppure Gesù la paragonava a un fuoco che tutto può trasformare in luce e calore. È facile capire il perché.
Gli scritti biblici sono le parole dell’inizio della fede, le parole piene delle origini, dalle quali si è sviluppato una storia giunta fino a noi. Sono come le prime lettere d’amore di due fidanzati che poi hanno dato continuità al loro amore che si è consolidato negli anni. Ritornare a quelle lettere ogni tanto, ricordarle e rileggere quelle parole decisive per la loro vita non può non riempirle ogni volta di meraviglia, di gioia, d’incanto. Quelle parole sono rigenerative. Ricordare (re-cordare: portare il cuore) quelle parole è questione di cuore: ogni volta si rigenera quella medesima prima emozione. L’amore commosso si rinnova e si consolida. Certo, magari dopo cinquant’anni le parole d’amore sono un po’ cambiate nella forma e nell’espressione, ma il significato è il medesimo, più vivo che mai.
Se i credenti non amano riferirsi quotidianamente alle parole originarie della loro fede può solo essere perché non sono veramente innamorati di Cristo, non ne sono toccati e interessati. Peccato.
Gesù, per venirci incontro, faceva ai discepoli un esempio per spiegare loro cosa avviene nell’ascolto (vivo ed emozionato) della Parola. La paragonava a un seme. Pensiamo all’avventura di un chicco di grano posato nel terreno. Da un seme si sviluppa prima un germoglio e poi una pianta. Alla fine matura la spiga. Ecco il prodigio: i nuovi chicchi non sono i medesimi del primo seme. Sono altri chicchi. Eppure sono gli stessi, dello stesso genere, dello stesso codice genetico. Non si semina grano per raccogliere fagioli. Si miete solo e sempre lo stesso tipo di frumento. Lo stesso ma non il medesimo.
Nessun plagio, nessuna “imitazione” di facciata, ma una rigenerazione. Questo avviene nell’uditore della Parola che ogni volta ritorna a quelle pagine come l’innamorato rivive le parole piene del suo amore d’origine.