La metafora del pastore
Gesù parlava a gente semplice, gente del popolo, per lo più contadina. Capiva bene quindi il linguaggio metaforico del pastore e delle pecore.
Fare il pastore era, a quel tempo, un lavoro duro e disprezzato. La cura degli animali richiedeva un tempo pieno, spesso trascorso sui monti o in forma nomade, lontani dalla vita sociale. Non sapendo, quindi, scrivere e leggere erano detestati dai rappresentanti della Legge.
Era però con le sue soddisfazioni: tra l’essere umano e gli animali si può davvero instaurare una comunicazione. Ci si può in qualche modo “capire”. Gli animali, infatti, distinguono il loro padrone: ascoltano la sua voce, lo riconoscono e seguono ciò che lui dice.
S’instaura una specie di fraternità tra gli umani e animali. A Gesù questo realtà serva da metafora.: come c’è una grande diversità tra un uomo e un animale, così c’è una distanza infinita tra noi e Dio. Eppure come le pecore conoscono, ascolano e seguono il loro pastore, così anche noi possiamo metterci in comunicazione con Dio. Dio non possiamo conoscerlo, non possiamo capire il suo mistero… ma possiamo entrare, con il dono della fede, in piena comunicazione con Lui. i tre verbi del brano evangelico descrivono proprio come s’instaura questa comunicazione, vera, reale, non metaforica. Ascoltare, conoscere, seguire.
Nella liturgia avviene un vero dialogo tra il popolo e l’invisibile presenza divina.
Nella Bibbia poi il verbo “conoscere” significa più precisamente “amare”, sentirsi penetrati da quella misteriosa presenza. Significa anche provare emozioni intense e autentiche perché Dio non è idea astratta o immagine sfocata e lontana. Dio è una persona, intima a noi stessi. Con questa presenza misteriosa noi non soltanto ci mettiamo in comunicazione ma siamo avvolti da sentimenti, da emozioni intime e profonde che si esprimono realmente nella divina liturgia, nei suoi segni, canti e gesti.
Infine c’è i verbo “Seguire”, il più difficile, perché seguire Gesù conduce anche alla croce. Strada bella quella di Gesù ma, come tutte le cose belle, difficile. L’Apocalisse lo esprime con un drammatico, in un tempo in cui la fede poteva portare anche alla tortura e alla morte. « Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide con il sangue dell’Agnello ».
Non è un linguaggio dai buoni sentimenti ma un linguaggio crudo: parla di sangue, di tribolazione, in termini molto concreti.
Avviene la stessa cosa anche nel racconto degli Atti degli Apostoli: Paolo e Barnaba, i quali non avevano altra intenzione che parlare dell’amore di Dio, della giustizia che viene dal Vangelo - una parola quindi vicina alla vita della gente – si trovano osteggiati: « Scribi e farisei, quando videro quella moltitudine, furono pieni di gelosia, contraddicevano le affermazioni di Paolo e bestemmiavano ».
Gli apostoli non si scoraggiano, anzi, esortano tutti a perseverare. Tocca anche a noi, la domenica. Non soltanto ascoltare la Parola per sapere la direzione di vita da intraprendere ma anche, per incoraggiarci, esortarci a non cedere alla via facile del compromesso.
Perché la strada di Gesù è difficile?
Perché un cristiano che voglia essere coerente, cioè voglia vivere nella settimana ciò che ascolta in chiesa, non può fare come fanno tutti. C’è il rischio che la confusione, che il disorientamento che c’è attorno a noi, diventino la nostra confusione e il nostro disorientamento.
Oggi, poi, la Chiesa celebra la giornata delle Vocazioni.
Questa parola che noi abbiamo ascoltato è rivolta a noi perché ci chiediamo: « Cosa possiamo fare noi per diventare servi del Vangelo? ». Le domande che Gesù oggi ci fa sono puntuali, precise, per nulla astratte. «Tu, per cosa stai vivendo? Quali sono le cose che ritieni importanti e irrinunciabili per la tua vita? Qual è vita degna di essere vissuta, secondo i tuoi ideali e la tua pratica? ».
I nostri giorni passano, la nostra via si consuma, le nostre energie ci vengono prese dalla vita che facciamo. Che cosa è giusto? Non possiamo impedire che il tempo ci consumi, ma per che cosa consumarci?
Sono le domande quotidiane del credente. Dalle risposte che diamo, possiamo rinnovare la vita e il mondo anziché rassegnarci alla mediocrità e all’insensibilità.