Immersi nel mondo


I soggetti del racconto della parabola di oggi sono tre: il fariseo, il pubblicano e il tempio. Non si può capire la forza dell’innovazione di Gesù senza considerare come in Israele era considerata la religione. Il tempio era la visione immediata e materiale di una certa concezione religiosa. A motivo di questa Gesù racconta una parabola per denunciare l’atteggiamento delle persone religiose che avevano “l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri”. Come ci sentiamo con Dio è, infetti, strettamente legato a come ci sentiamo con gli altri. Il tempio era costruito in spazi concentrici. Al centro c’è la tenda del Santo dei santi. Vi entra solo il sommo sacerdote una volta l’anno. Attorno era previsto lo spazio per i sacerdoti, dediti al servizio del culto. C’era poi lo spazio riservato agli ebrei e, in ultima la superficie lasciata ai pagani. Gli spazi erano ben delineati e invalicabili. Era evidente il messaggio. Ci si avvicina a Dio di separazione in separazione: gli ebrei distinti dai pagani, i sacerdoti separati dal popolo, il sommo sacerdote distinto da tutti. Sacro infatti è una parola che significa “separato”. Gesù rovescia questa concezione. Ci si avvicina a Dio di immersione in immersione. Dio, il Santo dei santi, si immerge nell’umanità, si fa carne. Gesù, il Figlio di Dio, si mette in fila con i peccatori, siede a tavola con loro, dice di essere mandato non per i sani ma per i malati. Chiede ai discepoli di immergersi nella folla dei poveri. Ne chiama dodici ma per mandarli di villaggio in villaggio. Si è svuotato fino alla morte vergognosa in croce. È disceso fino agli inferi, nella massima solidarietà possibile.
Non bisogna fare la caricatura del fariseo della parabola: era un buon credente secondo la mentalità del tempio. Si sentiva “separato”, uomo del sacro: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri”. La religione separa e rende presuntuosi. Dio è misericordia e, in Gesù, non si è vergognato di chiamarci fratelli.
Nella descrizione di Luca questa parabola è ciò che ha vissuto Pietro il giorno in cui ha incontrato Gesù per la prima volta. Il maestro gli aveva detto: “prendi il largo per la pesca”. Pietro gli aveva risposto: “finora non ho preso nulla, ma sulla tua parola getterò le reti”. Davanti alla pesca miracolosa “Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me che sono un peccatore” (Lc 5,8). Anticipa la preghiera del pubblicano, la nostra quotidiana preghiera. Preghiera di pace e di liberazione.
La fede è aderire a Gesù, come il tralcio alla vita (Gv 15). Il Vangelo non avverte il bisogno di circoscrivere uno spazio per il sacro. Come sostiene un noto sociologo (M. Gauchet), il cristianesimo è “la religione dell’uscita dalla religione” perché la fede si differenzia dalla religione naturale e giudica il sacro. La rivelazione-nascondimento di Dio in Gesù indica che il nuovo criterio del sacro è la creatura umana, immagine di Dio: “chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto” (1Giov 4,20). La storia biblica è il racconto di Dio che incontra l’umanità attraverso la concretezza della vita reale. Non si ama, infatti, “a parole né con la lingua, ma con i fatti” (1Gv. 3,18).
Il sacro è secondario perché il culto cristiano è sacrificio della vita, pratica “razionale”, cioè compiuta secondo la Parola di Cristo (il Logos) e non emozionale (Rom. 12,1). Il sacro è incapace a dire Dio. Senza lo Spirito Santo non c’è cristianesimo. Possiamo umanamente dire Dio solo con il sacro, ma il sacro è incapace di farlo.
Gesù ha sostituito il “sacro” con il “santo”. Il sacro separa e include (chi non è con me è contro di me), il santo unisce (“Chi non è contro di noi è per noi” Mc 9,40) e condivide.

 




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