LE SETTE PAROLA DI CRISTO IN CROCE
1. PADRE, PERDONALI, PERCHÉ NON SANNO QUELLO CHE FANNO (LC 23,34).
La prima parola che tu pronunci dalla croce è “Padre”.
In questo nome, in questo volto, è racchiuso il senso della tua vita, fin da quando dodicenne nel tempio hai detto di essere venuto per occuparti delle cose del Padre tuo.
La tua relazione di confidenza e di amore obbediente verso di Lui, è principio e fine della tua esistenza, è unica ragione del tuo essere.
In quest’ultima prova d’amore, preparata da tante notti di intimità orante con il Padre,
la tua figliolanza si fa solidarietà totale con il Padre, con il suo modo di amare e di giudicare.
Dall’alto del trono della croce porti a compimento il giudizio di Dio, giudizio di perdono e di misericordia verso chi non sa quello che fa: ecco il tuo modo di essere re, ecco svelato il tuo potere di Figlio, il potere di amare dello stesso amore del Padre, fino a dare la vita per amore.
Tu avevi detto: “Amate i vostri nemici, pregate per i vostri persecutori, benedite quelli che vi maltrattano”. Ora questa tua parola è diventata carne e sangue, nei lineamenti del tuo volto crocifisso.
Signore Gesù, Tu sei davvero il grande intercessore, il sommo sacerdote provato in ogni cosa che compatisce le nostre infermità, il vero ponte tra Dio e l’umanità.
Nell’ora della morte, Tu offri il perdono, perché gli uomini non sanno quello che fanno.
Offri il perdono, perché gli uomini sappiano quello che Tu fai, e si convertano all’amore. Solo l’amore infatti comprende l’amore.
Nel momento terribile della croce tu preghi per coloro che ti crocifiggono.
Continua a pregare per noi, per me, oggi. Continua a pronunciare la parola del perdono, perché il mio amore conosca la misura smisurata del tuo amore.
2. IN VERITÀ, TI DICO, OGGI SARAI CON ME NEL PARADISO.
Venne Mosè: le sue braccia innalzate al cielo assicuravano la vittoria del tuo popolo nel deserto. Venne Cristo: le sue braccia spalancate sulla croce sono un abbraccio che mai sarà serrato,
un abbraccio che rimane come eterno invito di salvezza.
Le tue braccia assicurano l’alleanza nuova e definitiva:
la miseria del peccato è vinta, la comunione del Regno ci è donata.
È la preghiera dell’uomo a provocare la tua promessa, maestosa e tenera insieme.
Il desiderio celato dalla rabbia del primo malfattore e quello imbevuto di fiducia e di abbandono del “buon ladrone”.
Signore Gesù, che dalla croce apri le porte del tuo Regno, anche noi ti preghiamo:
visita e guarisci questo cuore!
Guariscilo dalla presunzione e dal facile giudizio che decide anzitempo il destino dell’uomo: nell’abbandono a te è la sola via della salvezza.
Guariscilo dalla rassegnazione e donagli speranza: poiché non è chiuso, non è mai chiuso il tuo santo abbraccio.
Non è mai troppo tardi per ritornare a Te e in Te trovare riposo per il nostro cuore.
3. DONNA, ECCO IL TUO FIGLIO.
La gente è impazzita, urla ancora e ancora t’insulta, i soldati ironizzano sulla tua sofferenza.
In mezzo a tanto frastuono, spicca un gesto di tenerezza, e risuona questa tua parola, “secca” all’apparenza, ma infinitamente buona e santa: “Donna, ecco tuo figlio”.
Nell’ora della morte, hai associato Maria al tuo dolore, perché diventasse completamente la Madre tua. Tuoi fratelli e sorelle e madre sono infatti quanti compiono la volontà del Padre tuo che è nei cieli.
Nell’ora della morte le hai donato un figlio, il discepolo dell’amore; e in quel figlio prediletto hai associato tutti noi, ognuno con i propri volti, le proprie storie, i propri peccati, tanto da poter pensare che sotto la croce c’erano già i nostri nomi.
A Maria, ormai stretta a te da un vincolo indissolubile tanto da farne l’“avvocata nostra”, affidi la missione di essere Madre della Chiesa, madre di tutti i viventi.
Nella tua infinita bontà, affidi anche noi, con estrema semplicità, a Maria. Con lei, non possiamo più dirci orfani o abbandonati. Con il suo materno aiuto, ci sentiamo più figli in quel “figlio”.
Concedimi, Signore, la grazia di amare e venerare tua Madre. E dille ancora, quando tu mi vedi e mi pensi: “Donna, ecco tuo figlio”. “Madre, ecco tua figlia”.
4. DIO MIO, DIO MIO, PERCHÈ MI HAI ABBANDONATO?
“Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato”, urli dalla croce, raccogliendo su di te il grido di angoscia dell’intera umanità.
Ultimo grido, dopo lo strazio di molti dolori.
Ultimo amore, che trasforma in preghiera ogni perché, ogni incomprensione dei cammini di Dio.
Fino a che punto, Signore, ci hai amato!
Fino a che punto hai bevuto il calice del dolore.
Fino a che punto hai condiviso in tutto la nostra condizione umana, che ben conosce la notte della fede e il silenzio di Dio…
Abbandonato dai tuoi discepoli, sperimenti ora l’abbandono del Padre, nella maledizione dei senza-Dio.
Dio lo ha abbandonato? Possibile? Lui, il Figlio diletto nel quale il Padre si è compiaciuto?
Nell’immersione radicale, “sino alla fine”, nel vuoto della morte, nella solidarietà estrema con gli uomini, sei tu che ti abbandoni, e compi, “tra forti grida e lacrime”, il tuo essere Figlio.
D’ora in poi ogni uomo abbandonato e sconfitto potrà pensare Dio altrimenti. Potrà dire: “Il Figlio di Dio ci è passato”.
Così, nell’ora dell’estremo abbandono, si realizza già il dono perpetuo della tua presenza e della tua vicinanza, che raccoglie ogni vuoto e colma ogni abbandono: “Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo”.
5. HO SETE.
Ho sete. E dalla folla, ai piedi della croce, non arriva alcuna risposta.
Ho sete. Il ricordo scivola a Sichem, al pozzo di Giacobbe; quanto è lontana la Samaria, quanto è lontano quell’incontro seducente: Donna dammi da bere.
L’uomo, il vero Uomo, proprio colui che le ha promesso l’acqua viva, ora ha sete.
Ma la folla pare quasi sorda, non sente.
Colui che beve dell’acqua che gli darò io, non avrà mai sete. Ma adesso, sulla croce, sotto il sole del Calvario, no: è il momento dell’estrema umiliazione, dell’estremo sacrificio, dell’apparente smentita; è il momento in cui tutto sembra perduto, in cui si profila l’ombra del tradimento. Quell’acqua, adesso, non c’è, non può essere bevuta.
Ma l’acqua che gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna. Ancora un attimo e un uomo vede un vaso, prende una spugna e la immerge, la fissa ad un bastone e la avvicina alla croce. Ma è solo una spugna imbevuta di aceto. Ecco l’ultima umiliazione, ecco l’ultima sofferenza. E quasi riecheggia il grido del salmista: l’anima mia è assetata di Dio, del Dio vivente. Quando verrò e vedrò il volto di Dio?
Signore, tu hai sofferto la sete per me. Tu hai sete del mio amore e della mia salvezza. Come il cervo assetato anela alle sorgenti d’acqua, anche la mia anima ha sete di te.
6. TUTTO È COMPIUTO.
Prima di trarre il tuo ultimo respiro, Signore Gesù, tu hai detto: «Tutto è compiuto».
Tu annunci il compimento dell’opera della redenzione, il perfezionamento della tua missione.
La fine di tutto, lo svuotamento totale della tua vita, è il tuo compimento, che porta a termine il tuo amore e la tua fedeltà, il sacrificio della tua vita che ci salva.
Quando capirò, Signore, questa legge della tua vita, questa legge della vera vita?
Quando capirò che la morte dona la vita, la povertà dona la ricchezza, e lo svuotamento riempie?
“Tutto è compiuto”: con questa parola, Signore Gesù, ci ricordi che non basta adempiere il nostro dovere comunque e per un po’ di tempo al fine di poterlo dire compiuto davvero, ma che occorre adempierlo fino alla fine;
che non basta sacrificarci soltanto in parte, ossia fin che piace a noi, ma che occorre portare la croce sin sul Calvario, nell’ora della morte e del compimento;
che non basta porre mano all’aratro, ma è necessaria la perseveranza, sino all’ultimo respiro.
Tu, che non ti sei accontentato di amare i tuoi che erano nel mondo soltanto per un po’ di tempo e soltanto fino ad un certo punto,
Tu, che ci hai amati sino alla fine, fino all’estremo compimento, fino all’ultimo respiro,
dona anche a noi, tuoi umili servi, di poter dire, alla sera della nostra vita: “Tutto è compiuto” .
7. PADRE, NELLE TUE MANI CONSEGNO IL MIO SPIRITO.
Le ultime parole sulla croce,
le custodiamo gelosamente
come si trattiene ciò che più è prezioso
perché della tua vita, Signore, sia piena la nostra vita.
E ti sentiamo ancora dire “Padre”:
ci riveli pienamente il senso di quella preghiera che hai insegnato ai tuoi discepoli:
non si può dire “Padre nostro” se non arrendendoci all’amore di Dio.
La tua consegna non conosce riserve:
si sciolgono i legami con la vita, il tuo corpo vibra sul trono del calvario,
e tu riversi il tuo Spirito in Dio
ti consacri alla verità,
una cosa sola con Lui.
Conficca la morte il suo velenoso pungiglione,
la follia della turba cresce intorno a te,
l’agonia e il tormento affliggono la carne,
l’ingiuria e la maledizione ricadono su di te
ma tu, di tutto, ti rivesti,
volentieri ti fai avanti:
è giunta l’ora della tua glorificazione.
L’ora della consegna infinita.
E muori.
Muori…sotto i nostri sguardi
Muori…per la nostra iniquità.
Scendono le tenebre
e si intravede già una luce.
Cala il silenzio
e la terra è in travaglio:
la vita scorre come un fiume dal costato di Cristo.
I patriarchi e i profeti e quanti attendono il regno di Dio,
i poveri e gli affamati e ogni pecora dispersa,
la creazione e le schiere angeliche, i troni e le dominazioni,
tutti tacciono.
Ma verranno i cieli nuovi e la terra nuova,
ogni promessa sarà adempiuta,
ogni promessa è già adempiuta.