Buon Natale
La meraviglia del Natale sta in un Dio che sceglie di farsi bambino.
In questo modo il divino si trasmette a tutta l’umanità, coinvolge tutto l’umano, oltre i confini delle culture e delle religioni.
La sapienza antica ha sempre considerato i bambini (i figli) il dono più bello e più importante della vita. Oggi la generazione, entrata nel dominio scientifico, si accompagna più all’immaginario della produzione che del dono. Ciononostante, il bimbo donato alla vita è ancora figura esemplare e via sicura del ritorno all’umano.
Le cose più importanti della vita le impariamo dai bambini. Nell’infanzia, infatti, sono racchiusi, con un’evidenza particolare, i tratti essenziali dell’essere umani. Forse per questo, il mondo dei bambini è naturalmente il luogo della meraviglia e della magia. I simboli dell’amore provengono tutti dalle esperienze fatte con i bambini e provenienti dalla nostra infanzia: sorridere, abbracciare, cullare, nutrire, proteggere...
Consapevoli o meno, questi verbi ci riportano alla prima infanzia. La condizione del neonato, infatti, è il paradigma della cura.
Nella società complessa tutto è diventato relativo. Siamo abituati a discutere ogni cosa ma davanti al bambino tutto è chiaro. Appare come un’evidenza assoluta, che dona significato pieno alla vita.
Alcune esperienze della generazione umana trasmettono, oggi più che mai, il senso affidabile dell’avventura umana.
Nel neonato l’umano appare nella sua massima fragilità e vulnerabilità. La sua debolezza ci tocca e ci commuove. Risveglia la sensibilità e muove alla tenerezza. Linguaggio e gesti, tono di voce e mimica non possono che trasmettere dolcezza e gentilezza. La violenza che non si arresta davanti al bambino e lo travolge nella sua furia distruttiva, tocca il fondo dell’inumano. L’uccisione di un bambino ci fa sentire perduti.
La debolezza estrema del bambino ha una forza assoluta sugli adulti: la donna che diventa madre non è più la persona di prima. Lo stesso si può dire del padre, forse in modo meno evidente. Il neonato trasforma radicalmente anche i nonni. La fisiologia della nascita è tutta descrivibile scientificamente ma il bambino che viene al mondo non cessa di essere un mistero che ha il potere di cambiare le persone.
Il bambino desiderato e generato da’ significato alla vita. Il lavoro è importante, la carriera è bella, il denaro è indispensabile. Queste cose però appartengono al dominio dei mezzi. Se diventano fine, non danno felicità, riempiono d’inquietudine. Un bambino che nasce è invece uno scopo di vita.
Il bimbo che cresce ricorda ancora un altro tratto essenziale dell’umano: insegna come s’impara. Perché un bambino nei suoi primi anni impara così tanto e cose tanto difficili (i primi passi, le prime parole, i primi pensieri…)? Perché è capace di stupore e di meraviglia. Gli adulti imparano proporzionalmente molto meno. Hanno perso l’incanto della sorpresa (l’essere “presi dall’alto”).
Il credente coglie facilmente che Dio agisce allo stesso modo del bambino: tocca e commuove, trasforma in profondità la persona, rende la vita buona e affidabile, riscatta dalla mediocrità. Nell’incanto della liturgia si fa toccare e vedere. Per questo Gesù raccomandava: “Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli” (Mc 19,14).
Un’ultima saggezza insegna il bambino. Egli è cercato e desiderato dai genitori ed è il segno del loro amore, ma non nasce per restare. Nasce per partire. È un’esistenza donata ma non può colmare un vuoto d’amore. Proviene dall’unione di un uomo e una donna, ma il suo compito non è di tenerli uniti. È piuttosto un invito ad amare in modo diverso. Il figlio, infatti, è puro dono. Anche il segreto della felicità è il dono, l’uscita da sé.
L’umano si rigenera ogni volta che riconosce le sue origini e a queste torna con rispetto.
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