Almeno per un momento...


La liturgia è il luogo dove la quotidianità e la mondanità diventano segno di un Dio che entra nella vita e nella storia. Rischiarati dalla Parola di Dio, toccati dalla sua invisibile presenza, s’impara a dare uno sguardo diverso ai fatti successi, agli eventi del mondo, alla propria storia personale e familiare.
Per questo Gesù insegna agli apostoli ad avere uno sguardo senza preclusioni, a togliere ogni barriera. Bisogna superare, anche nel linguaggio, il modo solito con cui si giudica il mondo, quando si contrappone il “noi” al ”voi”, si distinguono abusivamente i “nostri” dagli altri. Dio ama tutti. Gesù vuole che lo chiamiamo Padre. L’umanità è fatta quindi di fratelli.
“Chi non è contro di noi, è per noi”. Gesù chiede ai discepoli una libertà e una disponibilità totali, che oltrepassino i confini tracciati nel popolo e superino gli angusti calcoli della mente. Obbediente all’insegnamento del maestro, la liturgia eucaristica compone tutte le persone che partecipano al rito, in un unico popolo che chiama con la parola più impegnativa che conosciamo: “Fratelli”. Un’assemblea anche numerosa di persone spesso estranee, nella vita sociale quotidiana, che per rendere culto al Signore devono sentirsi sorelle e fratelli. Il legame che si stabilisce tra i credenti in preghiera è di natura “familiare”: dice il riferimento diretto a un Padre comune e non a una simpatia del “sentire” umano. Poste davanti al Signore, finché dura l’atto di fede, tutte le diversità sono ricondotte a unità. Le differenze bambino adulto, povero ricco, servo padrone, uomo donna, almeno nella parentesi liturgica, non hanno più alcun valore.
È straordinario il valore che Gesù attribuisce alle relazioni di amicizia e di simpatia, verso tutti. La parrocchia è costituita dall’Eucaristia comunità aperta, inviata a tutti, senza preclusioni. Ogni volta che la parrocchia si chiude, pone se stessa al centro, fa riferimento a se stessa, viene meno alla sua identità di famiglia di Dio. “Non è dei nostri” diventa un’affermazione impronunciabile. Qualcuno può essere contro di noi: se il vangelo è in azione, se si parla chiaro come fa Giacomo nella sua lettera, si può attirare la critica, l’avversione, l’ostilità. Il discepolo però non ricambia male al male. Si mantiene “semplice e astuto”, secondo il modello di Gesù.
La Chiesa non ha il monopolio del bene, poiché lo Spirito opera oltre le sue frontiere. Nel giorno del giudizio, Dio riconoscerà come suoi tutti coloro che avranno agito con giustizia e amore nei riguardi degli altri. Al contrario, il dare cattivo esempio, soprattutto ai deboli, è imperdonabile. Infine, bisogna sradicare senza pietà tutto ciò che in noi è causa di male. Il cristianesimo è sempre sotto osservazione. Verso la comunità e nei confronti del mondo è richiesta una continua attenzione a non scandalizzare. Una disciplina quotidiana che si concentra in tre metafore: la mano, il piede, l’occhio. Strappare, tagliare, cavare, sono verbi che indicano una risposta pronta e senza mezzi termini verso ciò che scandalizza.
La comunità cristiana corrompe il vangelo (scandalizza) quando rimane inoperosa, muta e impaurita nelle situazioni in cui è richiesto impegno e decisione (Mano). Quando fugge dalla responsabilità e si aliena dalla realtà (Piede). Quando non è capace di trasparenza, di schiettezza, si mette una maschera e nasconde la verità della fede (Occhio).
A chi celebra l’Eucaristia, almeno per un momento, è dato di sperimentare (non di immaginare o di fantasticare) alzando gli occhi sull’assemblea che prega senza distoglierli dall’altare, che i contrasti e i conflitti possono ricomporsi, che le diversità sono ricchezze, che il Pane della vita sostiene i deboli e dona loro di non arrendersi al male, di non rassegnarsi all’ingiustizia, di superare i torti.
Il Sacramento realizza ciò che simbolizza: sull’altare si celebra la vittoria di Dio sugli scandali umani.

 




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