La nostra miseria affettiva


Spesso constatiamo di non essere capaci a pregare: non sappiamo cosa dire, non riusciamo a trovare un’immagine, un qualcosa, che fissi un po’ la nostra attenzione, che ci preservi dalla distrazione di andare un po’ di qua e un po’ di là.
Se ci mettiamo alla scuola del Vangelo di oggi impareremo a pregare. Perché il brano del cieco guarito ci presenta una preghiera molto semplice, ma bellissima. Una preghiera che è facile da ricordare e che, se riuscissimo a pronunciarla, quasi a scandirla come il ritmo del nostro respiro o del nostro passo, saremmo aiutati ad entrare nel mistero di noi stessi e di Dio.
È bella, questa frase, perché viene da una persona povera, sfortunata: da un cieco, che, a quel tempo, non poteva godere di nessun tipo di pensione o di aiuto; poteva solo sperare che passasse di lì qualcuno di grande, che gli aprisse davvero gli occhi. « Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me! ».
Noi questa frase possiamo dirla ancora con più forza, perché crediamo in Gesù risorto ( non solo figlio di Davide): « Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me! ».
Questa frase, da una parte può mettere il nostro cuore in sintonia con la nostra miseria, dall’altra con la misericordia di Dio. Molti dei nostri problemi traggono origine dal fatto che noi non ci accettiamo così come siamo, che crediamo di essere qualcosa che non siamo. Noi non ci viene spontaneo dire: « Abbi pietà di me! ».
Qual è la nostra miseria e cosa significa "miseria"?
Potremmo dire che ogni epoca storica ha avuto le sue miserie: pensiamo ai tempi della guerra, alle carestie, alla peste, alla siccità, a non avere nulla da mangiare… Queste miserie ci sono ancora oggi in molte parti del mondo.
Noi ci sentiamo un po’ estranei… ma basta poco: (un’alluvione, una disgrazia...) per sentirci nella miseria. Oenso che esista un’altra miseria, tipica del nostro tempo, una miseria che costituisce la nostra povertà. E' una miseria forse ancora più difficile da gestire e da portare avanti di quella materiale, ed è la nostra povertà affettiva: il fatto di sentirci spesso soli o delusi nei nostri rapporti; a volte, addirittura traditi nell’amore, traditi nell’amicizia.
Si può soffrire tanto a motivo della nostra incapacità a volerci bene.
La miseria affettiva è legata anche a un senso, mai avvertito come oggi, della nostra fragilità. Spesso abbiamo quasi paura che ci “saltino i nervi”, di non mantenere il dominio di noi stessi: che ci sia qualcosa che ci sfugga!
Noi, che ci crediamo così forti, siamo miseri: miseri nei nostri affetti, miseri nelle nostre angosce… ed è un grido - questa nostra povertà - un grido forte come quello di Bartimeo; un grido che esprime il nostro bisogno, a volte prepotente e drammatico, di essere amati, di non essere così soli, di essere presi per mano da qualcuno.
Molti sgridavano il figlio di Timeo e volevano che lui tacesse... Anche oggi ci sono molti che vorrebbero che questo grido di solitudine, questo bisogno di amore autentico venisse in qualche modo messo a tacere. « Ma hai tante cose: hai il benessere, hai i soldi, hai una bella casa, hai una bella macchina, hai tutti i tuoi divertimenti... Che cosa vuoi di più? Goditi queste cose! ». Ma il grido sale ancora più forte.
Non ci bastano queste cose. Anzi, è proprio a motivo di queste cose che spesso non siamo più capaci a volerci bene.
Dobbiamo quindi imparare a gridare forte questa nostra miseria, la dobbiamo ammettere! E la preghiera, l’Eucaristia, è il tempo dove, mettendo a tacere le altre illusioni, ci accorgiamo della povertà che è in noi e impariamo a gridare. Se formuliamo questo grido incontreremo la misericordia di Dio. Gesù si rivolgerà a noi, come ha fatto con Bartimeo, e ci dirà: « Allora, che cosa vuoi che io faccia? ».
Noi gli diremo: « Signore, insegnaci ad amarci tra di noi, preserva i miei affetti, rendimi capace di fedeltà, fa che non tradisca mai le persone che mi amano; aiutami ad accettare gli altri anche nei lati che mi piacciono di meno ». E Gesù ci risponderà: « Sì, va’ la tua fede ti ha salvato!». Va’ significa: parti, riprendi la tua vita, non avere paura né di te stesso né degli altri. Ci sono io, il Signore. Questo « va’ » è la garanzia di un amore che viene meno o che non delude; come dice un salmo, « anche se mio padre e mia madre mi abbandonassero io credo che tu Signore non mi abbandonerai mai ».
È su questa garanzia che possiamo andare con maggior sicurezza verso gli altri, possiamo superare la paura e vincere l’angoscia.
Dobbiamo tornare a imparare a pregare... ma noi non riusciremo a pregare se non apriremo gli occhi sulla nostra miseria, se non ci consideriamo piccoli e poveri. Allora potremo metterci in ginocchio e dire: « Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me! ».

 




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