Perché state a guardare il cielo?
Il Cristianesimo è la religione più “materialistica”: Dio non va cercato in alto, si trova in basso. Non si cammina verso di Lui verticalmente, ma solo orizzontalmente (nell'amore concreto).
Sono stravolti e superati tutti i nostri modi di pensare, le nostre contrapposizioni, anima-corpo, cielo-terra, alto-basso.
Che cosa sarebbe però la nostra vita se non ci fosse un “cielo”, un “oltre” ciò che viviamo e sperimentiamo?
La fede nasce emergendo sullo sfondo di un’esperienza comune a tutti, piccoli o grandi, contemporanei o antenati, atei o credenti. Questa esperienza umana imprescindibile è il senso trascendente della vita. Nel concreto vissuto quotidiano (il visibile), è continuamente sperimentato qualcosa che è più grande di quanto è dato rappresentare, qualcosa che viene “indicato” ma che non è colto del tutto, che si presenta ma, al tempo stesso, sfugge (l’invisibile). In ogni vissuto esiste, in altre parole, "un di più" che l’esperienza contiene sotto forma di rimando, di desiderio, di significato. L'esistenza è sempre opera "incompiuta", desiderio e attesa di ciò che sta “oltre”, che si estende al di là dell'orizzonte del "qui e adesso". Nella vita di un individuo non esistono soltanto bisogni materiali o culturali da soddisfare. Oltre a ciò che già si è realizzato, c'è sempre un "non ancora" che rende possibile il desiderio e la speranza. Ciò che alimenta l'attesa della vita umana, che dà a essa senso e consistenza e la fa amare, sono i significati che a essa si attribuiscono. La persona umana, infatti, è un animale simbolico, che costantemente si sporge al di là dei confini immediati e materiali della vita.
La trascendenza è contenuta nella stessa esperienza umana, nell’agire prima ancora che nel pensare. È un sentire emozionale e sensibile (in senso ampio), prima ancora di diventare contenuto mentale. La trascendenza è un'eccedenza di vita, una realtà che supera i limiti dell'ordinario e del quotidiano, pur essendovi contenuto. “Irrompe” in essi, “sporge” oltre di essi, a volte in modi sorprendenti e imprevisti. In questo sentire, "oltre" non significa “fuori” ma piuttosto “dentro” il dato sensibile. Ogni gesto d’amore richiama un bene più grande di quanto riesce a esprimere. Ogni affermazione di verità contiene e richiama una verità non ancora detta. Ogni realizzazione di giustizia porta dentro di sé la tensione a una giustizia più grande... In una parola: ogni esperienza contiene la nostalgia di qualcosa che ancora non c’è, ma già è contenuto, indicato e atteso.
Esperienza di trascendenza è, per esempio, la poesia, lo stupore per la bellezza nascosta della vita, oppure l’amarezza per l’insufficienza delle cose e le contraddizioni della propria pesantezza e la determinazione a volerle trasfigurare. Consapevolezza della trascendenza è prodotta anche dalla festa che, quando è sincera, non riesce mai a trasmettere del tutto le emozioni che le persone vivono. Ben più misteriosa è l’esperienza della morte: il cuore che ama non può accettare che della persona defunta non rimanga più nulla, perché l’amore sopravvive alla morte.
Ogniqualvolta alle esperienze è riconosciuta una particolare potenza emozionale, come della relazione affettiva ed erotica, nel nascere e nel morire, nelle forme dell’arte e del gioco, nel sogno e nell’immaginazione, si producono riti e cerimoniali (riti familiari, civili, sportivi, protocolli e codici…) che danno forma ed espressione al senso trascendente dell’esperienza. L’amore, per esempio, che è poesia e bellezza, esaltazione e amarezza, godimento e anelito, istituisce, nella pluralità delle sue forme (amore erotico, genitoriale, amicale, religioso) un cammino che è di natura trascendente. Si formula, in questo modo, la domanda di senso.
Il cristianesimo non è una religione emozionale perché individua l’espressione compiuta della fede nella vita concreta (“da questo sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). La fede cristiana è un mettersi in cammino («Vieni a vedere» Gv. 1,46); è un’esperienza che si vive seguendo Gesù che dice: “Chi ha sete venga a me e beva” (Gv. 7,37). La beatitudine dei poveri nello spirito riassume l’atteggiamento del credente: fede è affidarsi totalmente a Dio Padre, camminando sulle orme di Gesù Cristo, suo Figlio. Fede è “lasciare le reti, e seguire Gesù” (Mt. 4,20).
La trascendenza è un vissuto, l’esperienza religiosa è una decisione della volontà , la fede cristiana è la sequela di Gesù.
L’ascensione di Gesù è la festa dell’”oltre” (il cielo) che si trova nel “dentro” (“Andate dunque” Mt 28,19). È anche la solennità che indica che la fede si esprime fondamentalmente nella bellezza. Anch’essa, infatti, ci fa gustare un ”oltre” (il godimento) che si trova nel “dentro” (nei colori, nei suoni, nelle forme…). Tutto ciò che è bello conduce dunque al vero, e viceversa. La fede è l’esperienza che realizza in pienezza questa meravigliosa sintesi. Per questo si celebra, più che spiegarsi.
Domenica 4 giugno a Montà Santuario Piloni (ore 15,30) inaugureremo una nuovo capitolo della “via della bellezza” nella spiritualità agricola.